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Bersani piace solo ai militanti:al Pd conviene cavalcare Renzi

Una grana per il segretario. La rivelazione effettuata su un campione di 800 adulti di nazionalità italiana. La leadership di Pierluigi è a rischio?
di Andrea Tempestini sabato 1 settembre 2012

Renzi e Bersani

2' di lettura

  di Arnaldo Ferrari Nasi Il Pd si trova ad affrontare tre questioni non di secondaria importanza, per il risultato finale delle elezioni. La prima è l’ingombrante ritorno di Grillo nell’area del centrosinistra. Dall’analisi dei sondaggi del 2012 si era notato un netto avvicinamento al M5S di una grande porzione di delusi di area centrodestra. Ma ora Grillo è tornato ad attingere praticamente tutto dal centrosinistra, in particolar modo dal Pd e in second’ordine dall’Idv. La seconda è l’alleanza Sel-Pd-Udc, quasi sicuramente necessaria per poter governare, ma che non può essere dichiarata prima del voto. Spingerebbe certo molto dell’anima di sinistra del partito verso i grillini e molto di quella di centro verso proposte moderate alternative. O, entrambe, verso l’astensione. La terza è la presenza di Renzi. Anche perché la sua è una proposta forte, in molti casi antitetica all’establishment del partito, che, in qualsiasi modo venga risolta (Renzi vince, Renzi perde, Renzi esce) potrebbe portare a conseguenze rovinose. I due temi sostanziali sono noti: la rottamazione, appunto, cioè il ricambio della classe dirigente del partito e la propria premiership. Vediamo cosa ne pensano elettori ed ex-elettori del Pd. Sulla questione del ricambio generazionale, paiono esserci pochi dubbi. Il quesito semplifica un po’ la questione, solo così si possono fare i sondaggi, ma i nomi di D’Alema, Bindi e Veltroni sono del tutto chiari: rappresentano i dirigenti forti della Seconda Repubblica e coprono tutte le aree di pensiero del partito. Oltre l’80% degli elettori Pd e l’87% degli ex, vorrebbe che questa generazione di dirigenti lasciasse il posto a nomi nuovi. Percentuali da antipolitica, che correttamente segue la via istituzionale, però. Sicuramente un grosso punto a favore di Renzi. Sulla scelta del candidato premier che il Pd dovrà presentare alle primarie di coalizione, invece, Renzi non pare essere così avvantaggiato. Posto che allo stato egli dovrebbe lasciare il partito in quanto è previsto che il candidato di coalizione sia solo il segretario dello stesso, l’idea e la possibilità di presentarsi dall’interno del Pd c’è eccome. Tra gli elettori democratici, però, la preferenza è per Bersani. Ma non è un dato schiacciante: 57% per il segretario e 34% per il sindaco di Firenze. Tra gli ex-elettori invece il vantaggio è di Renzi: 42% contro il 33% di Bersani. Ricordiamo che gli ex non sono pochi. Il Pd ha perso circa il 40% dei propri voti dal 2008, mentre ne ha acquistati solo la metà dalle altre aree, un bel bacino potenziale. In ogni caso, sul problema del candidato, il partito è diviso e non si intravede una facile soluzione.  Nessuna delle tre questioni che prima ho citato (Grillo - alleanze - Renzi) possono lasciare tranquilli i democratici, ma se le prime due possono essere imputate a “fattori esterni” la terza viene del tutto combattuta all’interno del partito. È quella più controversa, molto più di una faida interna tra correnti: uno scontro generazionale, una sorta di “guerra civile” sotto lo stesso tetto.  

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