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Fecondata con il seme di un altroDa tre anni aspetta la sentenza

Raccontateci le vostre storie da "giustiziati", ossia cittadini con la vita stravolta dai bizantinismi della giustizia
di Andrea Tempestini domenica 24 giugno 2012

4' di lettura

Prosegue la campagna di Libero sui «giustiziati», cittadini che  si sono trovati con la vita stravolta a causa di lungaggini burocratiche e bizantinismi della giustizia italiana. In redazione sono pervenute decine di storie. Oggi pubblichiamo un eclatante caso di malasanità avvenuto a Padova dove una donna era stata fecondata con il seme in provetta non del marito, ma di un perfetto estraneo. Pur avendo riconosciuto fin da subito la responsabilità dell’accaduto l’ospedale ha poi cambiato versione e, attraverso i legali, ha spiegato che per la donna non si tratta certamente di un danno. Da lì l’inizio di una causa che dura da tre anni. E chissà quanti altri ne dovranno passare prima che la signora, che ha optato per un aborto pilotato, abbia diritto a un risarcimento per tutto quello che ha passato. Per un errore enorme, non dovuto a lei. Pur essendo un laico convinto, quando vedo il magistrato corrugare la fronte in atteggiamento pensieroso per prendere una decisione divento d’un tratto religioso. Mi appaiono angeli, arcangeli e mi domando cosa verrà fuori dalla sacra bocca del divin prescelto per rendere terrena giustizia. Però anche i Santi più magnanimi disturbati all’ultimo momento i miracoli non li fanno, così nel mio quasi decennio di avvocatura ho sentito di tutto. Tra giudici e avvocati è come tra moglie e marito: amore e odio. A volte t’incazzi e lo manderesti al diavolo, altre volte ti dà ragione e lo adori. L’avvocato non è e non può essere obiettivo per sua stessa natura. Il magistrato per gli addetti ai lavori è come i carabinieri: nei meandri dei tribunali circolano fior di aneddoti e barzellette (mitica la chiamata di quarto!!!) da recitare con un filo di voce per non avere torto a vita.   L’avvocato si nutre di pane, cause e toghe. Il sogno di ogni Collega a fine carriera è una raccolta monografica di tutte le pièce più divertenti vissute in anni di aula giudiziaria. Il titolo, facendo il verso a Primo Levi, potrebbe essere «Se questa è giustizia». Ben venga allora l’iniziativa di Libero a dar voce alle migliaia di vite di signori nessuno distrutti nel patrimonio, negli affetti, nella loro esistenza quotidiana da decisioni dissennate. Quante volte mi sono sentito dire dai clienti incazzati da sentenze strampalate: allora chiamo il Gabibbo. Già il pupazzo rosso ha più credito sociale dei dipendenti di Arenula anche se loro si offendono a sentirselo dire. Mi permetto allora un breve racconto dei mille con cui potrei tediare il lettore: un caso eclatante di malasanità avvenuto all’ospedale di Padova dove avevano fecondato una signora con il seme in provetta non del marito, ma di un estraneo.  Una bella mattina il fatto esce sulla stampa e dall’alba presso il mio studio si presenta mezza televisione italiana per mandare la notizia su tutti i tg delle 13. Un casino dell’anima. Nel pomeriggio esce anche il comunicato stampa dell’azienda ospedaliera di Padova che ammette la responsabilità dell’accaduto e si scusa con la malcapitata. A quel punto anch’io, che da ottimista sono diventato pessimista di natura, ho pensato che la danneggiata, caduta nel frattempo in profonda depressione, sarebbe stata risarcita in men che non si dica. Invece, bruciata la notizia sui media, dopo tre anni siamo ancora qua a mangiare eufemisticamente polvere. Gli avvocati dell’ospedale, forti dell’inefficienza della giustizia, hanno ritirato il braccino: c’è responsabilità, ma non c’è danno. La mia perizia sostiene che la danneggiata ha avuto un patimento psicologico pari a quello di uno stupro, ma si dovrebbe accontentare delle scuse perché i Lloyd’s di Londra non mettono nemmeno una sterlina sul piatto.  Allora iniziamo la causa innanzi alla corte patavina e lì marciamo oramai da anni. Non un giudice in grado di leggersi le carte ed elaborare il concetto più semplice del mondo: se fossi io al posto di quella disgraziata? Non una toga «con le palle» capace di dire: avete fatto una porcata grande come una casa, siete assicurati, mano al portafoglio. Attenderà chissà quanti anni la sofferenza di chi agognava da anni la maternità e ha proceduto a un aborto pilotato per l’appisolarsi di qualche medico.  L’udienza prossima è a luglio e il giudice ha nominato un medico-legale addirittura di Varese per sentirsi dire quello che l’ospedale ha già ammesso illo tempore con il comunicato stampa per fare bella figura sui tg. Intanto si tira a campà: l’assicurazione fa i suoi affari coi premi pagati, l’ospedale non sa né leggere né scrivere e la toga con questi bollori estivi non suda per scrivere sentenze.  La legge è uguale per tutti: fa schifo! di Matteo Mion www.matteomion.com

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