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Il teatro è occupato da due anniE il ministro Bray applaude

Dopo due anni di abusivismo, il Valle di Roma diventa fondazione. Le bollette? Le ha pagate il Comune
di Matteo Legnani domenica 15 settembre 2013

3' di lettura

Che si parta incendiari e si finisca pompieri è nell’ordine delle cose. Quello che disturba, nella vicenda dell’occupazione illegale del Teatro Valle di Roma, è che gli occupanti della struttura, al di là delle dichiarazioni «rivoluzionarie», hanno subito dimostrato di essere alla spasmodica ricerca di abboccamenti con la politica. Anzi, con una ben precisa area politica, quella della sinistra «radical chic», e con gli ambienti intellettuali che a tale parte sono contigui.  Una situazione che Libero ha evidenziato già da tempo, in particolare con un’intervista (apparsa su questo giornale il 29 ottobre 2011) a Giovanni Piccirillo, un occupante della prima ora il quale, a un certo punto, ha deciso di prendere le distanze da un’iniziativa che aveva rapidamente disatteso gli assunti iniziali.  «Queste persone stanno tradendo lo spirito originario dell’occupazione, quello dei primi comunicati, in cui si diceva chiaro e tondo che non si voleva avere niente a che fare con i politici», denunciava Piccirillo, «invece, di recente, è stata realizzata la bozza dello statuto di una fondazione, formalmente senza scopo di lucro, il cui nome sarà “Teatro Valle Bene Comune”. Una fondazione che si prefigge di assumere “pieno governo politico del bene comune in cui essa ha sede”. È chiaro che, per conseguire simili obiettivi, avere le giuste aderenze può fare parecchio comodo. Si era partiti in un certo modo e adesso si inseguono gli appoggi politici e magari, chissà, il “posto fisso”».  Oggi possiamo dire che quanto previsto da Piccirillo si è pienamente realizzato. Dopo circa due anni e mezzo di occupazione abusiva, seguita alla liquidazione dell’Ente Teatrale Italiano (che avrebbe dovuto condurre alla privatizzazione del Valle o, nella peggiore delle ipotesi, alla sua dismissione), la settimana prossima la fondazione «Teatro Valle Bene Comune» sarà ufficialmente varata. A darne notizia, con notevole rilievo, è stata Repubblica, che ieri, in un articolo a tutta pagina a firma di Anna Bandettini, ha fornito diverse altre interessanti informazioni.  Per esempio che alla nascita della fondazione presenzierà Stefano Rodotà, il quale vi ha anche «contribuito» (non viene però specificato in che forma). Poi che qualche sera fa, per lo spettacolo di Concita De Gregorio Manchi solo tu (si spiega così la paginata su Repubblica?), c’era fra gli spettatori il ministro dei Beni culturali Massimo Bray. E, ancora, che a farsi carico delle bollette del teatro è stato per adesso il Comune di Roma, per complessivi 90.000 euro (non proprio bruscolini).  I leader dell’occupazione, che per Repubblica sono «artisti impegnati a tempo pieno» (definizione che riecheggia il riferimento al posto fisso fatto da Piccirillo), sostengono che il Comune ha comunque risparmiato 1 milione e 300mila euro dei costi precedenti. Dimenticano tuttavia di dire che l’occupazione ha negato al Comune medesimo tutti quegli introiti che avrebbe realizzato con una regolare programmazione.  Infine veniamo a sapere che la Fondazione, potendo contare su un capitale sociale di 140mila euro (più altri 100mila in opere d’arte offerte dai sostenitori, a cui si aggiungerà il denaro raccolto con il sistema del crowdfunding, ossia libere donazioni di simpatizzanti), ha già prodotto un primo spettacolo, Il macello di Giobbe, scritto e diretto dal 37enne Fausto Paravidino. In quest’opera, spiega l’autore, «Giobbe è un padre perfetto, uno come Lear, come Napolitano, insostituibile” (questa chi gliel’ha suggerita a Paravidino, direttamente Scalfari?), il quale Giobbe fa il macellaio perché, ovviamente, «quando si parla di finanza viene naturale l’ambientazione in una macelleria».  Dagli al capitalismo, insomma, ancora e sempre. Che a quelli del Valle il libero mercato piaccia poco, del resto, è provato dal fatto che si fanno pagare le bollette dal Comune.  Peccato che poi facciano affermazioni come questa: «La protesta è diventata occasione per riflettere sul teatro e sulla possibilità di una “terza via” di gestione delle imprese culturali oltre a quella di fare teatro (…) con la politica». Certo, come no. Ragazzi, se davvero amate tanto il teatro lo dovreste sapere: le recite è bene limitarsi a farle su di un palcoscenico. di Giuseppe Policelli

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