di Martino Cervo Anche in Germania c’è un pensiero anti-euro. Il rumore prodotto da Alternative für Deutschland, il partito dato attorno al 3% che potrebbe creare problemi ad Angela Merkel alle elezioni del 22 settembre, non nasce dal nulla. Per avere un’idea della genesi di posizioni ostili alla moneta unica anche nello Stato che più di ogni altro ha parso beneficiarne, è utile un volume che Castelvecchi ha tradotto poche settimane fa, e che è uscito in Germania nel 2012: «L’Europa non ha bisogno dell’euro» (200 pagine, 18,50 euro), di Thilo Sarrazin. Assurto a notorietà mondiale nel 2010 per alcune eccentriche tesi anti-immigrati (giudicate razziste) esposte nel libro «La Germania si abolisce», Sarrazin è un economista di estrazione socialdemocratica, che ha ricoperto vari incarichi tecnico-politici presso importanti ministeri, fino a diventare l’equivalente dell’assessore al bilancio del comune di Berlino, consigliere del colosso Deutsche Bahn e, per pochi mesi, membro della Buba, la banca centrale tedesca nido dei «falchi». Nel saggio, Sarrazin – che nasce euro entusiasta – centra un’analisi troppo poco coltivata in ambito italiano: «La crisi dell’euro», spiega sulla scorta di dati incontrovertibili, «è anche, essenzialmente, una crisi della bilancia dei pagamenti interni». È quanto Libero ha tentato di sintetizzare visivamente domenica, proponendo ai lettori gli squilibri nella bilancia commerciale di Italia e Germania, Paesi-simbolo della periferia e del cuore dell’euroarea. Il tasso di cambio e l’impossibilità di svalutare hanno penalizzato i Paesi che venivano da una moneta più debole, galvanizzando invece l’export di quelli del Nord, Berlino in testa. L’arrivo della crisi non ha fatto che portare al pettine i nodi, aggravando gli squilibri, senza contare che «l’euro non è stato di nessun aiuto per contenere il debito pubblico, anzi, si è rivelato un ostacolo». Continua l’economista: «Il sempre più temuto “blocco del credito” ai paesi del Sud non è un problema di politica monetaria, bensì la conseguenza obbligata di una serie di deficit nella bilancia commerciale regionale» (dove per “regionale” si intende dell’eurozona). Totalmente germano-centrico, Sarrazin non può non riconoscere quantomeno il «sospetto che l’interscambio tra Paesi meridionali ed economia tedesca sarebbe maggiore rispetto a quanto è oggi se i Paesi meridionali non avessero perso la possibilità di ricorrere, all’occorrenza, alla svalutazione per migliorare la propria competitività». Non meno lucida la diagnosi: «Ormai per migliorare rapidamente la situazione dei costi i Paesi del Sud possono solo ridurre sensibilmente il proprio costo del lavoro. Questo a breve termine non funziona senza una decisa diminuzione dei salari in termini assoluti». Ciò di cui anche in Italia ci stiamo drammaticamente rendendo conto. Da qui in avanti, Sarrazin dà la stura a una rigidità tipicamente tedesca. La situazione descritta è infatti a suo giudizio penalizzante, ma per la Germania, che finisce per essere «ricattata» da richieste di salvataggio cui non può dire di no. Come spesso accade alle posizioni tedesche, paiono basate su dati reali, ma assolutizzati. Di fronte alla devastante spirale di misure di austerity imposte dalla Troika e al rincorrersi di fondi e sigle (EFSF, ESM) partorite dai vertici europei, Sarrazin lamenta le deroghe ai trattati e la pervicacia con cui si è impedito ciò che lui considera uno sviluppo naturale e doveroso: l’insolvenza, descritta più o meno come una passeggiata. La brutalità quasi violenta con cui spiega che la Grecia dovrebbe «ridurre i redditi reali del 30%» è superata ampiamente da questa frase: «L’unione monetaria richiede, per funzionare come si deve, che le economie reali e le società di tutti gli Stati membri si comportino, più o meno, secondo standard tedeschi». Ma questa graniticità unilaterale ha un pregio: parte da dati reali, li assolutizza e mostra i limiti della costruzione dell’euro. È un fatto che la linea Merkel abbia tentato di fare di tutti i partner economie «alla tedesca», cioè fortemente orientate all’export. È altrettanto evidente che questo non è possibile per ragioni strutturali. Prova ne è il fatto che lo stesso Sarrazin conclude così: «O rileggiamo in chiave del tutto nuova il principio del no bail-out, oppure dobbiamo scegliere nuove soluzioni che non escludano l’uscita dall’unione monetaria». Il libro è uscito nel 2012. Abbia o meno ragione l’autore, di certo rispetto alla sua analisi è difficile trovare, nel periodo successivo, fattori che possano significativamente alterarla.