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Mps, non solo Mussari: ecco tutti i banchieri vicini al Pd

Oltre a Siena e all'ex presidente finito nei guai, a sinistra hanno spesso guardato con favore ai big della finanza: Profumo possibile premier, la Bindi girl, Caltagirone...
di Giulio Bucchi domenica 3 febbraio 2013

5' di lettura

  di Carlo Cambi   Per dirla alla Crozza: «Guardi Bersani che mica stiamo a scrivere i giornali con la gomma da cancellare». O no? Perché per un riflesso pavloviano, o autocensura, quando parla il segretario del Pd i nostrani cronisti si scordano l’esistenza degli archivi. Sui banchieri organici al Pd si potrebbe scrivere un’intera enciclopedia. Ed  è proprio sull’attuale presidente del Monte dei Paschi di Siena che Bersani l’ha fatta grossa.  Basta tornare  al settembre 2010. Alessandro Profumo era rimasto appena disoccupato, dopo essere stato messo alla porta dai tedeschi soci forti di Unicredit, che il Pd  ne sondò, con apposita indagine demoscopica, la popolarità  come possibile candidato premier.  Ma la militanza di   Profumo, che sarebbe un impresentabile secondo le regole attuali del Pd visto che è rinviato a giudizio a Milano per un evasioncina fiscale da 240 milioni di euro in compagnia con altri manager di Unicredit, nelle file del Pd risale a molti anni prima. Nel 2005 votò alle primarie per Prodi, nel 2007 si è ripresentato ai gazebo del Pd per votare alle primarie e sostenere la moglie, Sabina Ratti, che era candidata nella lista di Rosy Bindi. La "Bindi girl" - La signora Ratti, che sfreccia per Milano a bordo della sua Ducati ovviamente rossa, è da sempre una Bindi girl tant’è che il marito banchiere scelse proprio, nel primo autunno di due anni fa, la tribuna della Convention dei “Democratici davvero”, la corrente di Rosy Bindi che molto a che fare con il Monte dei Paschi e poco vuole dire come ha dimostrato incalzata da Maurizio Belpietro due giorni fa a Porta a Porta, per manifestare «assoluta volontà e disponibilità» a impegnarsi in politica, ovviamente nelle file del Pd. Una volontà che mister «arrogance», lo chiamavano così in Unicredit, aveva già mostrato un mese prima di recarsi al soglio di Rosy Bindi.  Era il 31 agosto e a Labaro, vicino a Roma, si teneva la festa dell’Api - quella di Rutelli e di Bruno Tabacci - e l’attuale presidente del Monte dei Paschi  dichiarò: «Sono pronto, se necessario, a dare il mio contributo per far funzionare le cose». E dettò anche il suo programma: patrimoniale forte (lui rinviato a giudizio per evasione, lui con 40 milioni di liquidazione in tasca) per abbattere il debito pubblico e poi «bisogna rivedere le spese uscendo dalla mentalità dei tagli lineari ed entrare in quella dei tagli qualitativi». Un programma così bello e buono che Pier Ferdinando Casini disse dalla stessa tribuna: «Alessandro Profumo? C’ha un sacco di soldi, ha lavorato bene ed è una fra le persone più intelligenti del Paese. Dunque, Alessandro fai politica... Lo vedrei benissimo come un ottimo ministro dell’Economia».   E qui c’è qualcosa di profetico. Perché nella persona di Profumo, che è anche consigliere di amministrazione dell’Eni e della Bocconi, tanto cara all’attuale premier, s’incontrano, per interposto Casini,  Bersani e Monti. Se Bersani è il capo del partito che piace a Profumo, Monti è il capo del partito che piace a Casini. E i guai di Mps  sono legati in gran parte ad un ex giovanotto di belle speranze, quel Gianluca Baldassarri che era a capo della struttura finanza della banca senese, che i magistrati sospettano sia l’ispiratore della banda del 5% e che di sicuro godeva di amplissima discrezionalità nella gestione degli affari riservati.  Baldassarri arriva al Monte dei Paschi nel 2001 (Mussari lo caccerà il 26 gennaio 2012 senza nemmeno dargli la liquidazione) spacciando una parentela con Mario Baldassarri, ex Msi, ex Pdl  passato con Fini ed economista di vaglia, e una raccomandazione potente. Gliela firma Cesare Geronzi gran capo di Capitalia dove il giovane Baldassarri è ha capo della divisione finanza.  Ma chi lo accompagna a Siena? È Francesco Gaetano Caltagirone che nel 2001 entra nell’azionariato Montepaschi e poi ne diverrà vicepresidente lasciando un anno fa dopo la condanna a 3 anni e 6 mesi per insider trading che si è beccato nel processo Unipol-Bnl.  Caltagirone è il suocero di Casini che appunto sull’affare Mps tiene un low profile anche perché se Caltagirone è uscito dal capitale Mps (appena in tempo verrebbe da dire) le cospicue linee di credito che la banca senese ha aperto alle aziende dell’ingegnere romano sono ancora tute aperte. Pare -  dicono i bene informati -  che Baldassarri abbia acquisito importanti benemerenze presso Caltagirone quando Vincenzo De Bustis - altro banchiere amicissimo di Massimo d’Alema -  arrivato da direttore generale al Monte dei Paschi dalla Banca del Salento, si era messo di traverso nella gestione  del patto tra Unicredit e Capitalia per controllare Generali. De Bustis aveva intenzione di gestire da solo questa partita (siamo nel marzo del 2003) e Caltagirone non aveva gradito. Sarà poi  Mussari, da presidente della fondazione Mps e dunque maggiore azionista, a mandare a casa De Bustis (facendo infuriare d’Alema e incassando il plauso di Caltagirone) per la faccenda dei derivati che Banca 121-  acquista da Mps via Banca del Salento -  ha spacciato ai clienti. Quasi una nemesi se si guarda ai giorni nostri. In fila alle primarie - Ma Profumo non è il solo banchiere in odore di Pd. Perché alle primarie del 2007 ai gazebo si vide anche Giovanni Bazoli che votava in fila come tutti i militanti piddini. Il plenipotenziario di Bancaintesa (cioè Imi San Paolo) nel 2000 era stato tirato per la giacchetta da Amato, Prodi e perfino da D’Alema, che con i banchieri ha un feeling speciale, perché accettasse la candidatura a premier. Il re della finanza cattolica declinò l’invito. Ma capo com’è di una dinastia ha mandato avanti il resto della famiglia. Basti dire che suo nipote, Alfredo Bazoli, 44 anni figlio del fratello Luigi, è candidato col Pd al numero otto della lista in Lombardia e  ha il seggio sicuro a Montecitorio. Alfredo è consigliere comunale del Pd e  Gregorio Gitti, genero di Bazoli, già del Pd in quota Bindi, corre invece sempre in Lombardia e con seggio praticamente sicuro nella lista  Monti. Ma non è finita perché l'altro genero del presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa San Paolo, Fabio Coppola, marito della secondogenita Chiara, pur non essendo sceso in campo in prima persona, va firmando appelli in sostegno di  Monti. Mentre la cognata Francesca è grande elettrice di Umberto Ambrosoli, candidato al Pirellone per il centrosinistra ed è pronta a candidarsi per un posto in consiglio comunale a Brescia.  Proprio come dice Bersani: fuori i banchieri dai partiti. O no? Perché, tanto per tornare a Mps, pare che da Mussari a Profumo per diventare presidente della più antica banca d’Europa uno debba avere due requisiti fondamentali: essere del Pd e avere a che fare con la giustizia.      

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