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Ai confini del nero: Mario Michele Merlino

Lo scrittore, esponente di lungo corso della cultura di destra, intreccia storia privata e politica "partendo dalla tragedia del '45 e dei vinti"
di Giulio Bucchi domenica 14 luglio 2013

2' di lettura

Professore, scrittore, ma soprattutto militante politico legato alla storia della destra e dell'Italia degli ultimi 60 anni. Questo è Mario Michele Merlino, il cui percorso umano ha il suo inizio sulle scalinate di Valle Giulia l'1 marzo 1968 insieme a Stefano Delle Chiaie e ai ragazzi del Fuan Caravella, per "non perdere quell'occasione del '68", per dirla come Gianfranco Fini 40 anni più tardi. Dopo un volume sugli eventi del marzo 68 e i racconti Atmosfere in Nero, Mario ci parla della sua nuova fatica Ai confini del nero, libro che ha un filo conduttore che inizia nel '44, quando un soldato tedesco cercò rifugio nello stesso ambiente in cui lui venne alla luce. Professore, perché Ai confini del nero?  "Perché è terra di confine, il luogo dove germogliano l'eresia, l'irriverenza, la sfida, là dove lo spirito libertario dello scrittore, quell'anarco-fascismo tanto caro a Robert Brasillach e al sottoscritto, entra prepotentemente e domina la scena". Un sequel di Atmosfere?  "No, Atmosfere fu un esperimento narrativo, cioé passare dal saggio congeniale ad un professore di storia e filosofia alla narrazione, perché il narrare ha di per sé un grande potere comunicativo che ho appreso grazie all'amico Ugo Franzolin, reporter di guerra della Decima". Ma che cos'è in due parole Ai confini del nero?  "Dietro la tragedia immensa della guerra e soprattutto dei vinti, rimane la giovinezza la gioia di vivere l'amicizia, diciamo pure, l'amore... Certo non quello di guardare dal buco della serratura la cameriera spogliarsi, ma - che, poi, è il motto della mia nobiltà - faccia al sole e in culo al mondo!". Ci parli del tedesco...  "Il 2 giugno 1944 mio padre fu testimone dell'arrivo di un soldato tedesco in un convento, stesso luogo e stesso momento in cui io venivo alla luce. Il soldato lasciò il fucile e, vede, qualcuno doveva raccoglierlo per continuare l'eterna lotta del sangue contro l'oro...".  di Marco Petrelli

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