Della ministra che abitava in una palestra a sua insaputa adesso si occupano i magistrati. La Procura di Ravenna ha infatti chiesto al Comune di avere gli atti della strana storia, per valutare se la casa trasformata in impianto sportivo aperto al pubblico, senza che fosse mai stata ottenuta né richiesta l’autorizzazione, non comporti qualche violazione di legge, se non addirittura dei reati. Da quanto si è appreso finora non ci sono né accuse né indagati: semplicemente i pm vogliono vederci chiaro. Per quanto ci riguarda precisiamo però subito che la faccenda non ci sembra sia tale da scomodare la Procura. Può darsi che ci sia qualche regola infranta, ma non è questo il punto. Noi non pensiamo che per valutare il comportamento di Josefa Idem servano i magistrati, ma che bastino e avanzino il presidente del consiglio e le forze politiche che sostengono il governo. Non vogliamo la campionessa in galera - ammesso e non concesso che l’abuso sia perseguibile con la galera -, né la vogliamo costretta a rispondere alle domande di un giudice: ci pare sufficiente che riconosca l’errore e levi rapidamente il disturbo, evitando di pronunciare scuse imbarazzanti come quelle contenute nell’intervista pubblicata ieri da Repubblica. Nel tentativo di non mollare la poltrona appena conquistata, la campionessa si è infatti confessata con l’ex direttrice de l’Unità. E a Concita De Gregorio ha affidato la sua difesa: io sono pulita come un lenzuolo bianco che qualcuno vuole sporcare; non mi sono mai occupata di queste cose perché hanno fatto tutto il commercialista, l’ingegnere e il geometra; la casa non è una palestra ma un’abitazione in cui io mi allenavo; in mia assenza le attrezzature sportive erano affidate a un’associazione per evitare che si arrugginissero; in paese sapevano tutto dal 2007 e nessuno ha mai eccepito nulla. Peccato che alcune dichiarazioni contrastino con quanto finora emerso, mentre altre siano risibili, soprattutto se in bocca a un ministro che dovrebbe badare che la legge sia uguale per tutti. Prima questione: se valesse il principio che c’è chi lavora e a pagare le tasse ci devono pensare il commercialista, l’ingegnere e il geometra, in Italia avremmo risolto il problema dell’evasione, perché nessuno ufficialmente ammetterebbe mai di aver fatto il furbo. Da sempre tutti danno la colpa al tecnico, ma la responsabilità è del soggetto tenuto al versamento, non dell’esperta. La Idem avrà saputo e dato il suo benestare a figurare come residente in quella che non era la sua residenza ma la sua palestra oppure no? Possibile che lei non sapesse quale fosse casa sua? Si può credere che non si fosse mai accorta che sulla carta lei e il marito vivessero ufficialmente separati, l’uno in un’abitazione e l’altra in una palestra? No, non è possibile. Incongruente è anche la giustificazione che tutti sapevano tutto. E cosa vuole dire? Che allora se uno commette un abuso e i concittadini non lo denunciano la colpa è dei vicini? Anche la storia del lenzuolo bianco pare una scusa per nascondere una vicenda poco edificante: fosse vera vorrebbe dire che a macchiare il candore della stoffa sarebbero stati i suoi compagni di partito e i suoi ex colleghi. La storia è infatti scoppiata quando il Comune di Ravenna, del quale l’olimpionica è stata per sei anni assessore, ha scoperto l’inghippo della palestra accatastata come casa. Dunque la ministra sarebbe vittima di una faida interna? E per quale motivo? Ci vuole spiegare? E poi diciamoci la verità: qui non c’è di mezzo una faida, ma un impianto sportivo mai dichiarato. E allora torniamo a un’altra delle frasi contenuta nell’intervista, ovvero che quei locali non sono una palestra. Eppure la palestra è segnalata da un opuscolo del suo ex assessorato. Su internet ci sono le foto dei locali e si vede che gli impianti sono usati da persone esterne alla famiglia del ministro. Via web si rintracciano anche i nomi dei personal trainer che operano nella palestra. Sempre tramite computer fino a pochi giorni fa si potevano conoscere le tariffe d’iscrizione che consentivano a chiunque di accedere a cyclette e tapis roulant. Alcuni giornali hanno pure parlato con il personale, prima che tutti quanti sparissero come inghiottiti dal nulla. Inoltre, se il centro Ja-Jo, dai nomi dei figli della olimpionica, era una palestrina in casa, come ci vorrebbe far credere Josefa, perché quando è scoppiato lo scaldalo è stata frettolosamente chiusa? Insomma, con l’intervista a Repubblica, la Idem non ci ha fatto capire proprio nulla di quanto accaduto e forse sarebbe ora che rispondesse in modo chiaro alle domande, senza ricorrere alla stampa amica. Metta da parte gli atteggiamenti vittimistici e alzi il lenzuolo che ha steso sulla vicenda, che a decidere se è sporco o pulito ci pensiamo noi. di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet