Quella cui stiamo assistendo è una sceneggiata napoletana, anzi: napolitana. Tutti sanno che la legislatura non può durare, perché con ciò che sta accadendo dentro Pdl e Pd non c'è alcuna possibilità di tenere unita la maggioranza delle larghe intese. Troppo diversi gli interessi, troppo distanti le linee politiche. Nonostante ciò, per convenienza e per «senso di responsabilità», bisogna dire il contrario, altrimenti il capo dello Stato si dispiace. Il nostro presidente della Repubblica ne fa ormai quasi una questione personale. Essendo stato lui a unire in matrimonio destra e sinistra, non si rassegna all’idea che queste divorzino senza chiedergli il permesso, dunque per impedire che la separazione sia consumata si dichiara pronto a fare sfracelli. Se le sue ventilate dimissioni non bastassero a far recedere Berlusconi dall’insano proposito di mandare a casa Letta, Napolitano sarebbe deciso ad arrivare fino al punto di battezzare non un governo di coalizione, ma un esecutivo di traditori, cioè di transfughi da altri partiti. Attenzione, non si tratterebbe di compravendita di poltrone, ma, come usa dire ora che Berlusconi non è presidente del Consiglio, di semplice scouting, termine anglosassone che mette al riparo dalle inchieste della magistratura che non sa l’inglese. Tuttavia, l’ostinazione di Napolitano, che punta a impedire la crisi ad ogni costo, rischia di essere solo un’impuntatura senile, che non tiene conto della realtà dei fatti. E i fatti sono questi: se un governo in stile Merkel, cioè una Grosse Koalition, non ha funzionato con Pdl e Pd, come potrebbe funzionare con il Pd e un gruppetto di onorevoli furbacchioni arrivati da Pdl e Cinque stelle? Ammesso e non concesso che i numeri ci siano, che i senatori a vita nominati da Napolitano siano presenti ogni volta che c’è una votazione cruciale (a proposito, ma che fine hanno fatto, visto che al Senato nessuno li ha ancora visti? Incassano solo ogni mese un consistente emolumento o ogni tanto hanno intenzione di partecipare anche ai lavori parlamentari?), come potrà navigare l’esecutivo dell’ammucchiata senza il rischio di affondare ogni volta che si trova di fronte a scelte importanti? Con onorevoli che vogliono misure economiche liberali, in linea con il mercato, e altri che inseguono le lucciole e si dicono convinti che il problema non sia la crescita, ma la decrescita, cioè più poveri ma felici? I primi a non credere che la soluzione di un’uscita del Pdl dalla maggioranza non possa arrivare dai pentiti di Grillo sono i vertici del Pd, i quali sanno benissimo che passare da Berlusconi ai pentastellati significherebbe cadere dalla padella nella brace. E, infatti, a mezze parole fanno intendere che se il Popolo della libertà insiste sulla linea dell’Aventino, sarà difficile evitare le elezioni. Bene che vada si può arrivare con un governo ponte a superare le festività natalizie, ma poi tocca arrendersi all’evidenza delle cose. I dirigenti Pd lo dicono rassegnati, quasi che fossero testimoni involontari di ciò che sta succedendo e ovviamente scaricano ogni colpa del naufragio di Letta sul Cavaliere. Ma in realtà la vecchia guardia del partito, quella che ha in odio Matteo Renzi, considera le elezioni anticipate una vera e propria manna dal cielo. Con la crisi e il voto ravvicinato, si renderebbe inevitabile il rinvio delle primarie per l’elezione a segretario del partito. Le uniche consultazioni consentite nel caso si votasse subito sarebbero quelle per il candidato premier, non altre. Dunque il sindaco di Firenze, se vuole sfidare la nomenklatura, deve farlo conquistando il viatico per Palazzo Chigi. Il partito a questo punto rimarrebbe nelle mani dei soliti burocrati, i quali in questo modo avrebbero tutto il tempo di cuocersi a fuoco lento il Fonzie democratico. Una strategia perfetta e perfida, che però prevede di far naufragare qualsiasi soluzione che consenta un avvicinamento fra Pd e Pdl. Come ad esempio il rinvio alla Corte costituzionale degli atti della giunta delle elezioni, in modo che decida sulla retroattività della legge sulla decadenza e scelga pure di bocciare la richiesta di ricusazione dei membri della giunta che i legali del Cavaliere hanno presentato ieri. Nessuno spiraglio neppure sul fronte della grazia (che non salverebbe il leader del centrodestra perché non bloccherebbe la decadenza dal Senato) o su quello dell’amnistia. Il capo dello Stato ne ha parlato quasi che intendesse offrire al centrodestra un ramoscello d’ulivo, ma in realtà l’atto di clemenza allargato a tutti i condannati è un pacco Napolitano, perché richiede maggioranze ampie e tempi lunghi, e per il Cavaliere non ci sono né le une né gli altri. Berlusconi fra pochi giorni rischia di essere buttato fuori dal Senato e consegnato ai pm che lo potranno arrestare a piacimento. I soliti bene informati dicono che le Procure si sono già messe d’accordo per offrirgli gratis un soggiorno nelle patrie galere. Magari non lungo, anche solo di qualche giorno, ma sufficiente per umiliarlo ed esibirlo in manette sulle prime pagine di tutto il mondo. In questo clima, senza vedersi offerta nessun’altra via d’uscita e con l’aggiunta dello sgarbo dell'aumento dell’Iva, che cosa volevate che facesse Berlusconi, se non buttare tutto all’aria e tentare una sortita per rompere l’isolamento, facendo dimettere tutti e puntando sulle elezioni? Le sceneggiate e i pacchi napolitani ci hanno ridotti a questo. Adesso date il voto. E più in fretta che si può.