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Mps, esistevano due banche: una era per il partito

di Giulio Bucchi domenica 27 gennaio 2013

4' di lettura

  di Franco Bechis I senesi dicono che nella loro città esistono da sempre tre soli partiti: il partito dei dipendenti del Monte, il partito dei pensionati del Monte, e il partito di quelli che vorrebbero essere assunti al Monte. Il primo partito, quello che conta di più, ha un rappresentante in ogni famiglia di Siena. Per questo il Monte dei Paschi non è una banca come le altre. Per quanto grande fosse diventata, dipende in tutto da Siena. E mano mano che si è ingrandita ha semmai costituito due banche in una: quella tradizionale, che ormai bisognava adeguare al mercato. E quella di Siena. E’ questa ultima a comandare, naturalmente. Con le sue regole uniche al mondo. Se il dirigente di una filiale di Napoli all’improvviso diventa capitano di una contrada, in automatico viene trasferito a dirigere la filiale di Poggibonsi e se è possibile a Siena. Il contratto dei bancari senesi è il migliore di Italia. Per loro è quasi impossibile quella ristrutturazione che ogni altro gruppo bancario ha dovuto affrontare ormai da decenni. Da un anno ci prova Alessandro Profumo, ma non ci riesce. Perché davanti trova il muro di Siena, e quello del sindacato che rappresenta quasi tutto il Monte: la Fisac-Cgil. Già, perché Siena è il Monte, e il Monte è Siena. La città è divisa in quei tre partiti di uomini del Monte, ex uomini del Monte, e aspiranti uomini del Monte. Tutti o quasi insieme, sotto e sopra il Monte, però hanno un partito solo: il Pd. E anche qui l’identificazione è ormai perfetta: il Pd è il Monte e il Monte è il Pd. Un tempo questo tipo di partiti erano due: il vecchio Pci, nelle sue varie trasformazioni. E un po’ di Dc. Nell’uno e nell’altro il partito trasversale per eccellenza, quello della massoneria. Poi si sono uniti tutti e sono diventati Pd. Il Pd del Monte. La cosa ha funzionato così: gli uomini del Monte facevano carriera nel Pd e nei suoi antenati. Diventavano sindaci o presidenti della Provincia e così si impadronivano del Monte. Una storia ventennale, avvenuta all’ombra di pochi leader di quel partito. Tre i più importanti: Massimo D’Alema, Franco Bassanini e Luigi Berlinguer. Sì, c’è stata anche Rosy Bindi. Un po’ di influenza l’ha tentata, ma rispetto agli altri contava come il due di picche. Giuseppe Mussari era il leader degli studenti universitari comunisti. E in quella veste fu il ragazzo degli accordi di ferro con  il rettore dell’epoca, Luigi Berlinguer. E’ cresciuto fianco a fianco con Marco Morelli, per lunghi anni compagno di palestra. E sono approdati al Monte. Uno dopo l’esperienza con Berlinguer, l’altro grazie all’appoggio di Bassanini. Hanno fatto carriera insieme, poi Morelli se ne è andato nel momento più turbolento prendendo altre strade (Banca Intesa, Merryl Lynch). Ma al Monte ci sono arrivati sullo stesso scivolo necessario: quello che oggi ha il nome del Partito democratico. Quando per forza di cose e di leggi che man mano separavano fondazioni da aziende bancarie, arrivarono al Monte i forestieri (rappresentanti di azionisti privati e di piccoli azionisti), quasi non riuscirono a credere ai loro occhi. Non avevano mai visto una banca fatta in due. Si era aperta al mercato, ma ogni posizione era stata sostanzialmente raddoppiata, fin dalle direzioni generali: c’era una banca vera che stava nascendo, ma non mollava mai la banca politica che era stata formata. C’era un dirigente bancario e al suo fianco con lo stesso grado e assai più forza un dirigente arrivato lì con lo scivolo, un commissario politico. Lì la divisione è restata solo con il Cencelli del Pd: questo appartiene alla tradizione ex dc di sinistra, quest’altro a quella pci-pds-ds. Qui contano i figli di D’Alema e Bassanini, lì quelli di Alberto Brandani o dei fratelli Alfredo e Alberto Monaci, potenza ex democristiana nella città (uno ora si è accasato con Mario Monti che lo ha candidato per le politiche). Due banche in una, ma la più forte quella che discende dal Comune e della Provincia, e cioè del Pd. Il partito è stato fondamentale nello scegliere i guai in cui si è ficcata la banca: prima l’acquisizione di Banca 121 del dalemiano Vincenzo De Bustis, poi  quello di Antoneveneta, un istituto che sembra il filo dell’alta tensione: chi lo tocca, muore (chiedete ai furbetti del quartierino e ad Abn Amro).  Una banca di partito legatissima al territorio, con tutte le disfunzioni che nel caso capitano. C’è da aprire una nuova filiale? Servono le finestre? Quanto costano? Quaranta euro l’una? Bene, le farà quell’azienda artigiana senese di amici degli amici per 75 euro a finestra. Un affare.     

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