Scivolone in Borsa per Mps: il titolo, maglia nera del paniere Ftse Mib e tra i peggiori dell’intero listino, ha chiuso in calo dell’8,43% a 0,25 euro per azione. Entrata in contrattazione a piazza Affari mezz'ora dopo l’avvio della seduta, Mps ha toccato in giornata un prezzo minimo di 0,24 euro. Vero e proprio 'boom' per gli scambi, con oltre 730 milioni di pezzi passati di mano, vale a dire circa il 6,3% del capitale sociale dell’istituto. di Antonio Spampinato Un’altra tegola è caduta sulla testa del Monte dei Paschi e, di rimbalzo, su quella del suo ex presidente, Giuseppe Mussari. La pietra dello scandalo è un’operazione su derivati targata Nomura, che potrebbe far perdere alla banca senese, già in pesante debito di ossigeno, centinaia di milioni di euro. I due istituti si rimpallano le responsabilità sull’operazione ad alto rischio, messa a punto durante la vecchia gestione, e la battaglia si annuncia senza esclusione di colpi. Nella serata di ieri, il primo botto: Mussari, che dopo aver timonato Mps si era aggiudicato tre anni fa la poltrona di numero uno dell’Associazione bancaria italiana, si dimette dalla presidenza. In una lettera inviata a Camillo Venesio, vice presidente vicario dell’associazione, Mussari giustifica il passo indietro con l’esigenza di tenere l’Associazione fuori dalle polemiche: «Assumo questa decisione convinto di aver sempre operato nel rispetto del nostro ordinamento ma nello stesso tempo, deciso a non recare alcun nocumento, anche indiretto all’associazione». La vicenda derivati In questi giorni la banca di Siena sta spulciando le vecchie operazioni strutturate che hanno messo, o potrebbero ancora mettere, a rischio la delicata salute del suo bilancio. Quella con Nomura ha un nome: Alexandria. Si tratta di un contratto derivato stipulato nel 2009 e che potrebbe portare - come conferma all’agenzia Reuters una fonte vicina all’operazione - una perdita superiore ai 220 milioni di euro già registrata nello scorso esercizio e legata a quel contratto. La notizia è stata lanciata ieri sulle colonne de «IlFatto», e ha costretto i protagonisti della storia a prendere posizione: il titolo in Borsa ha perso oltre il 5%. Nomura ha comunicato che l’operazione «era stata rivista e approvata prima della sua esecuzione al massimo livello in Mps, incluso il cda e il presidente Mussari». Ma in una successiva nota diffusa da Monte Paschi si afferma che «non risulta» che l’operazione sia stata sottoposta all’approvazione del consiglio. E qui c’è il giallo: com’è possibile che sia stato posto il sigillo su un contratto così ad alto rischio e di un importo così rilevante senza che il consiglio di amministrazione ne sapesse nulla? Monte dei Paschi cerca di gettare acqua sul fuoco, sostenendo che l’incremento per 500 milioni di euro dei “Monti Bond” assicurerà in ogni caso «la copertura, dal punto di vista prudenziale, degli impatti patrimoniali di eventuali rettifiche di bilancio», nonchè degli eventuali costi di chiusura dell’operazione. Ma le fiamme dello scandalo sono ormai troppo alte per spegnersi così in fretta. La banca giapponese, letta la replica di Mps, rilancia: i revisori di Kpmg hanno rivisto l’operazione e l’istituto giapponese era fra le varie banche avvicinate per annullare il rischio delle posizioni detenute da Monte Paschi, acquistate in precedenza da Dresdner. In pratica l’operazione avrebbe permesso al Monte Paschi di Siena di cedere il note Alexandria a Nomura, scaricando le perdite su bilanci futuri e salvando il bilancio 2009. Nell’inchiesta de “Il Fatto”, si sottolinea come la perdita potenziale potrebbe salire a 740 milioni di euro. E i 500 milioni dei Monti bond potrebbero non bastare più. La possibilità che lo Stato entri nel capitale della banca, facendo riportare le lancette dell’orologio ai tempi di Comit, Credit e Banco di Roma, non è poi così remota. La successione all’Abi I banchieri italiani si trovano di colpo senza un capo. Proprio nei giorni in cui gli emissari del Fondo monetario internazionale stanno spulciando i loro conti, in particolare le esposizioni sui mutui e prestiti a rischio. L’Abi, per colmare il posto vacante, potrebbe convocare un comitato esecutivo urgente per nominare il nuovo presidente. Ma non è così semplice. All’interno dell’Associazione vige la regola che il presidente espressione di una banca grande si alterni con uno proveniente da un piccolo istituto. Così le “formiche” del credito potrebbero ora avanzare la richiesta di sostituire il capo dimissionario. Ma in teoria, la poltrona spetterebbe alle grandi banche fino al luglio 2014, data della scadenza del secondo mandato di Mussari. Ci manca solo una battaglia intestina che trascini l’associazione in uno stallo oggi impossibile da accettare.