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Borsa, osare sugli emergenti. Ma non più del 10%

Da inizio hanno le Piazze hanno perso il 20%, esperti divisi sul futuro. I Brics crescono più dell'Europa: per chi ama l'azzardo...
di Andrea Tempestini domenica 21 luglio 2013

4' di lettura

La tentazione è forte: dall’inizio del 2013 le Borse dei  Mercati Emergenti hanno perduto in media il 20%, come certifica l’indice Morgan Stanley. Uno scivolone pesante che però potrebbe rappresentare una buona opportunità d’acquisto. Perché dal Duemila ad oggi la crescita dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) e altre nazioni ancor più dinamiche (Corea, Messico e Turchia, ad esempio) è stata senz’altro più robusta dell’Europa.  Ma il coro degli ottimisti, stavolta, è sovrastato dal brusìo degli scettici: la grande stagione dei Mercati Emergenti, dicono in molti, è ormai alle spalle. Per capirlo basta uno sguardo ai giornali delle ultime settimane: tumulti in Turchia, Brasile, timori di guerra civile in Egitto. La Cina rallenta, la Russia non decolla. E così via. Ma chi ha ragione? Prima di rispondere proviamo ad illustrare le ragioni dei due partiti. Ottimisti Tra gli ottimisti merita un certo credito Richard Titherington, responsabile degli investimenti di JP Morgan. Secondo la sua opinione, le cose andranno come nel 2008. Anche allora ci fu un brusco scivolone dei mercati di Asia e Sud America, dovuto alla ritirata delle banche americane dalla regione. Ma, dopo pochi mesi, il trend cambiò: la Cina, di fronte alla crisi americana, decise di spingere a fondo l’acceleratore della crescita, trascinando al rialzo i produttori di materie prime, dal Brasile alla Russia. E chi ha avuto  il coraggio di puntare sui listini emergenti ha fatto un magnifico affare. Quando i tassi americani torneranno a salire, è la tesi del finanziere, si ripeterà la stessa situazione: l’economia Usa rallenterà, i quattrini torneranno a San Paulo e a Seul.  Anche perché non mancano le buone occasioni: un colosso dell’energia come Lukoil stacca una cedola pari al 5,5%, le principali banche cinesi superano il 6%. Pessimisti I pessimisti vantano argomenti ancor più solidi. Nel solo mese di giugno il Brasile ha perduto il 16%, la Turchia il 14%. Colpa dell’instabilità politica? Semmai è vero il contrario: l’instabilità politica è la conseguenza della fuga dei capitali verso le economie più ricche.  Fino al 2012 una pioggia di denaro ha investito i mercati di quello che un tempo era definito il Terzo Mondo: 20 miliardi nel solo 2012. Ma quest’anno il vento ha cambiato il suo giro: i deflussi hanno già raggiunto i 6 miliardi, ma le cose potrebbero peggiorare. Basti dire che, nel giro di pochi mesi, è andata quasi in fumo la ricchezza di Eike Batista, miliardario brasiliano alla guida di sei società quotate a San Paulo. Un anno fa valeva più di 20 miliardi di dollari (la quinta ricchezza del pianeta), ora non più di un miliardo. E i prezzi, a detta di altri esperti, non sono affatto a buon mercato.  In sintesi, si può rispondere così: a) in una prospettiva di medio-lungo termine (tra i 3 e i 5 anni) è opportuno avere una quota del portafoglio (non più del 10%) investita in titoli emergenti, che promettono comunque tassi di crescita elevati.  Conclusioni È consigliabile, per evitare brutte sorprese, rivolgersi a quei Paesi ove sta migliorando la tutela delle minoranze e degli investitori internazionali: Messico, Turchia, Polonia, Taiwan o Corea del Sud; b) nel breve termine meglio stare alla larga vista l’elevata volatilità registrata negli ultimi mesi. Non è affatto detto che la discesa di listini come quello brasiliano (-16% a giugno) non possa ripetersi. E il rischio che scoppi la bolla dell’immobiliare cinese è tutt’altro che scongiurato.  Ma come si opera sui mercati emergenti? Da sconsigliare il fai da te, per almeno due motivi: la difficoltà per un comune investitore di disporre di informazioni adeguate ed aggiornate sui titoli; i costi elevati, in materia di commissioni.  Meglio evitare la strada dei prodotti strutturati, vedi obbligazioni e certificati agganciati a panieri azionari di listini più o meno esotici: le formule, più o meno astruse, sono comunque costose.    È in pratica obbligata perciò la strada dei fondi di investimento o degli Etf. Ormai, del resto, ne esiste una varietà quasi infinita. Basti, a mo’ di esempio, citare l’Etf sui Lean Hogs, ovvero i maiali magri, che a giugno ha realizzato una più che discreta performance del 6%, al secondo posto dopo il prodotto dedicato al petrolio Wti, sostenuto dalla crisi egiziana. Per chi fosse interessato, le coordinate dell’Etf LEAN HOGS sono: Code HOGS e ISIN GB00B15KXZ70.     Al di là delle scelte più bizzarre resta il fatto che, tra fondi ed Etf specializzati le proposte sugli emergenti sono omai centinaia, anche se non tutti sono di facile acquisto nella banca di casa (nel caso insistere o controllare il listino pubblicato sul sito della Borsa italiana): ci sono prodotti distribuiti per area geografica, dal Pan Africa alla Cina, Brasile, Turchia, Thailandia e così via. Gli Etf possono replicare il listino di un Paese oppure di un settore, vedi, ad esempio,  il cotone (+7% a giugno).     Da consigliare, per chi vuol puntare sugli Emergenti a lungo un Etf legato ad un paniere globale (vedi, ad esempio, l’i Shares MSCI Emerging Markets index Fund, simbolo EEM) anche in una versione meno aggressiva ( l’i Shares MSCI Emerging Markets Minimum Volatility  index Fund) che ha retto meglio (anzi, perso di meno...) durante la frana d giugno. Ma ce n’è per tutti i gusti. Compresi gli investitori più aggressivi, pronti a sfruttare la stagione del ribasso. Esistono, infatti, anche gli Etf short per chi prevede che la frana delle Borse dei Paesi Emergenti possa continuare nei prossimi mesi. Ad esempio c’è il DB X-Trac Msci Em Mkts  Sht Dai Ucits Etf che replica una posizione “corta” (ovvero al ribasso) su un paniere di titoli da San Paulo a Shanghai.  Codice: XEMD, Isin LUO518622286. Le commissioni sono pari allo 0,95%.  di Ugo Bertone

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