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Mario Giordano: cari leghisti, le battutacce da orango aiutano la Kyenge

Gli insulti alla ministra la rendono ancora più intoccabile. I clandestini oggi in Italia sono rappresentati meglio del popolo del Nord, che ha politici da barzelletta
di Giulio Bucchi domenica 21 luglio 2013

Cécile Kyenge

4' di lettura

Proprio perché la Lega non è razzista, proprio perché le sue battaglie contro l’immigrazione clandestina sono giuste, proprio perché è doverosa la difesa dell’identità culturale e  contro il buonismo che è la vera rovina dell’Italia, proprio perché sappiamo che la politica delle porte aperte è una sciagura  che ha trasformato l’accoglienza in invasione scriteriata, proprio per questo Roberto Calderoli deve andare a nascondersi, oltre che dimettersi da vicepresidente del Senato. L’aver paragonato il ministro Cècile Kyenge ad un orango è peggio che vergognoso: è autolesionista. È peggio che indegno: è cretino.  Allo stesso modo dovrebbe dimettersi l’assessore veneto Daniele Stival che riciclando una battuta usatissima sui social network (manco il pregio dell’originalità) ha detto che l’espressione di Calderoli era un’offesa sì, ma per l’orango, «creatura di Dio che non si può paragonare a un ministro congolese». Pensava di essere divertente? Pensava di essere politicamente scorretto? No, è stato solo imbecille. E spiace che persino una persona intelligente come Matteo Salvini sia caduta nell’equivoco, e anziché censurare i suoi compagni di partito col vizietto dell’autogol, se la sia presa a sproposito con il presidente Napolitano, attraverso un tweet dalla logica contorta, uno sproloquio in politichese che non passerebbe mai la prova pane e salame di una festa padana. Alla fine la reazione più sensata di tutte, come spesso accade, è stata quella del governatore del Veneto Luca Zaia: dice che la Lega anziché accendere queste polemiche dovrebbe pensare a risolvere i problemi concreti del Nord. In fondo stiamo parlando di una forza politica che governa l’intera Italia settentrionale, dal Piemonte al Veneto, che ha nelle sue mani il destino di milioni di cittadini e di aziende, la parte più produttiva dell’intero Paese: possibile che debba far parlare di sé solo per le liti fra Bossi e Maroni o per le sparate dei suoi militanti che, quando parlano, dimenticano di azionare l’interruttore del cervello?  Dov’è finita la Lega del buon senso, della buona amministrazione, di quel senso pratico tutto padano che piombò come una boccata d’aria fresca e pragmatica dentro i bizantinismi litigiosi e inutili della politica? La difesa di Calderoli è stata patetica. Paragonare Letta a un airone, Alfano a una rana e la Cancellieri a un San Bernardo,  nella lingua del Nord significa mettere «tacon» che «è peso del buso». E giustificarsi dicendo che stava parlando a un comizio, davanti a poche centinaia di persone, è evidentemente assurdo, dal momento che un discorso pubblico è sempre un discorso pubblico, per un politico. E se c’era poca gente, al massimo, è un’aggravante che testimonia il declino ormai evidente di questi dirigenti lumbard.  Qualcuno dice che alzare il tiro con dichiarazioni fuori luogo (e fuori di testa) appartenga a una strategia per contrastare il calo di voti: sarebbe una evidente sopravvalutazione dei soggetti in questione, che in realtà ormai  faticano a elaborare un pensiero. Figurarsi una strategia.  Possibile che la Lega non capisca? Dopo un lungo summit in via Bellerio, lo stato maggiore del partito ha deciso di far quadrato e di confermare la fiducia a Calderoli: se la prendono con le «strumentalizzazioni» e  rilanciano la battaglia contro la clandestinità, con una grande manifestazione di piazza contro le politiche del governo. Ma in realtà, altro che strumentalizzazioni, sono proprio le uscite folli alla Calderoli che rafforzano le politiche del governo, trasformando di fatto il ministro Kyenge una specie di totem inattaccabile, un santino da proteggere, la madonna pellegrina del bon ton istituzionale. Non è difficile da capire, forse ci riesce persino uno Stival: ora Cècile ha carta libera e sarà impossibile criticarla per quello che fa (anche quando è sbagliato) perché si  finirebbe immediatamente ridotti alla dimensione calderoliana degli orango. Questo è il vero disastro di Calderoli, il leghista, che vive con gli orsi ma rischia di fare la figura del pollo. Questo è l’autogol clamoroso di chi riduce le buone ragioni di tanti militanti a una battuta indifendibile pure al bar sport. Questo è la follia di chi avrebbe gli argomenti per combattere una giusta battaglia e invece si fa mettere nell’angolo per colpa della propria ingordigia verbale. Così alla fine, purtroppo, le giuste intuizioni della Lega (che pure c’erano, eccome se c’erano) saranno liquidate non per colpa degli avversari, ma per colpa dei suoi medesimi leader. E il risultato finale sarà quello che già stiamo intravvedendo sotto i nostri occhi:  non riusciremo a difendere la nostra economia, il nostro territorio e i nostri valori perché coloro che dovevano difenderli sono scivolati su bucce d’orango  e altre scemenze. La verità è amara, ma va detta: gli immigrati clandestini oggi sono rappresentati a livello politico e pubblico assai meglio dell’operoso e intraprendente popolo del Nord. E per questo, calderolata dopo calderolata, quest’ultimo rischia di soccombere. di Mario Giordano  

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