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Mps, Antonveneta, Fresh bond, Mussari: i dubbi sulla vigilanza Bankitalia

Secondo il Fatto quotidiano già dal 2010 l'allora governatore Draghi e il suo staff avevano gli elementi per capire cosa stava succedendo a Siena
di Giulio Bucchi giovedì 31 gennaio 2013

3' di lettura

Bankitalia e il suo governatore dell'epoca, Mario Draghi, già nel 2010 avevano tutti gli elementi per capire cosa stava succedendo nel Monte dei Paschi di Siena. L'accusa, pesante, arriva da Marco Lillo e dal Fatto Quotidiano. Secondo il giornale diretto da Antonio Padellaro, infatti, dopo l'acquisto decisamente chiacchierato di Antonveneta, da parte di Mps era stato portato avanti un piano spericolato per ripianare le perdite a suon di derivati e trucchetti finanziari vari. Lillo cita la stessa Bankitalia e ricorda i "documenti tenuti celati dall'Autorità di Vigilanza e portati alla luce dalla nuova dirigenza di Mps". Vero, però ripercorrendo le mosse dell'ex presidente senese Giuseppe Mussari tra 2007 e 2010 la puzza di bruciato si doveva sentire, eccome. La truffa del F.R.E.S.H. - Per coprire i costi dell'operazione Antonveneta (ufficialmente 10,3 miliardi, in realtà bonifici per 17), Mussari chiese ai soci di sottoscrivere un miliardo di obbligazioni convertibili in azioni, i F.R.E.S.H. (Floating Rate Equity-linked Subordinated Hybrid preferred securities), che garantiscono una cedola lorda che nel 2008 corrisponde al 10% e soprattutto possono venire considerati capitale della banca perché se la banca non fa utili nessun obbligazionista incassa la cedola. Ma sono bond al alto tasso di rischio e dopo lo scandalo dell'americana Lehman Brothers e la crisi bancaria del 2008 Bankitalia rizza le antenne e invita anche Mps a rafforzare quei bond. Il facile raggiro - Bankitalia mette in chiaro: se Mps vuole considerare quei bond capitale, il FRESH deve distribuire la cedola non quando la banca realizza l'utile ma quando lo distribuisce agli azionisti. A questo punto entra in scena JP Morgan, cui Mussari si rivolge per modificare il bond. E' inizio 2009 e un obbligazionista di rilievo, il libanese Jabra Fund ottiene da Mps che sia la stessa banca senese a farsi carico dei rischi d'impresa di quei bond, in aperto contrasto con le volontà di Bankitalia. Un trucchetto di bilancio che esploderà poi nel 2009 con la trovata più spettacolare di Mussari: per aggirare la norma di Bankitalia, Mps distribuisce sì gli utili, ma solo 1 centesimo ai detentori delle azioni di risparmio. In pratica, la banca molla qualche centinaia di migliaia di euro e incassa il miliardo iniziale facendo scattare la clausola dei FRESH. E qui si torna alla questione dei conti taroccati: per registrare l'utile, Mussari si affidò alla giapponese Nomura per nascondere le perdite del derivato Alexandria (che doveva servire a sua volta per risolvere la grana Antonveneta): Mps "vende" quel derivato a un prezzo fuori mercato e compra titoli di stato a scadenza lunghissima, di fatto "spalmando" il debito su più anni e su più bilanci. Perché allora, chiede il Fatto, Bankitalia non si è insospettita davanti a quel dividendo ridicolo da 1 centesimo ad azione, il minimo possibile? Perché nessuno ha annusato la truffa? Eppure, già nel 2009 a Palazzo Koch sapevano delle difficili situazioni di cassa a Siena e della disperata ricerca di liquidità di Mps, eppure di fronte alle giravolte di Mussari e dell'ex direttore generale Antonio Vigni nessuno fa nulla. 

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