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Questa Costituzione paralizza l'Italia

Dc e Pci si temevano a vicenda. Così hanno fatto delle regole che impediscono di governare davvero. Eppure la sinistra non vuole toccare la Carta
di Giulio Bucchi domenica 13 ottobre 2013

4' di lettura

Chissà se i manifestanti che ieri hanno sfilato per le vie di Roma in difesa della Costituzione, la Costituzione l’hanno mai letta davvero. O se la loro era un’allegra scampagnata in nome di un dogma, ossia che la Costituzione è sacra e non si tocca. Di certo molti di loro non hanno consultato gli atti della Costituente, cioè dell’assemblea che predispose il testo che ieri è stato celebrato in corteo. Li avessero letti, avessero cioè approfondito le ragioni e i dubbi degli uomini politici che ne fecero parte, oggi non direbbero che la Carta su cui si regge la nostra Repubblica è la più bella del mondo - come invece dicono - ma capirebbero  che essa è frutto di un compromesso in cui affonda le radici il consociativismo che sta mandando in malora l’Italia. Non c’è costituzionalista o storico, di destra o di sinistra, che oggi non lo riconosca. Il Partito comunista e i socialisti avrebbero voluto una costituzione socialista, ispirata se non all’Unione Sovietica di certo ai princìpi marxisti. I cattolici e i liberali invece guardavano ai Paesi occidentali, alla Francia, agli Stati Uniti e dunque desideravano un ordinamento dello Stato che si ispirasse ai principi di libertà. Il risultato fu un ibrido un po’ mostruoso: una Carta costituzionale che per una parte si richiamava alle grandi democrazie e per il resto ai princìpi di Paesi in cui regnava la dittatura del proletariato. Come altre volte abbiamo scritto, l’articolo uno,  in cui si sancisce che la Repubblica è fondata sul lavoro, sembra sostenere che  lo Stato  è in grado di garantire un’occupazione piena a chiunque. In realtà, come tutti sappiamo,  solo uno Stato comunista, dove non esiste un mercato libero, può assicurare posti a tutti, ma appunto a scapito del mercato, ovvero negando la libertà a chi vuole intraprendere un’attività. Invece di permettere che ognuno si faccia pagare il giusto, cioè quanto consente l’incontro fra domanda e offerta, si appiattiscono i salari e il merito. Il risultato sono le economie socialiste dell’Unione Sovietica e dei regimi dell’Est o di Cuba, vale a dire il fallimento dei Paesi che sono sottoposti a questa cura. Grazie al cielo, la parte ideologica della nostra Costituzione è rimasta per anni lettera morta e dunque la Repubblica fondata sul lavoro è solo una dichiarazione di principio, che mai nessuno ha pensato realmente di tradurre in pratica. Si sono fatte leggi ispirate al comunismo ed esiste una legislazione fortemente voluta dal sindacato, ma almeno in Costituzione non siamo ancora arrivati a stabilire che un’impresa deve assumere per forza o che - come sosteneva un tempo la Cgil - il lavoro è una variabile indipendente dell’economia.  Di quanto il compromesso costituente abbia legato le mani al  Paese, impedendogli di crescere, di  fare quelle riforme necessarie, è pure cosa nota e pacificamente accertata dagli studiosi. I comunisti temevano che la Dc ripristinasse un nuovo regime e i democristiani che il Pci instaurasse una dittatura comunista, così gli uni e gli altri non cercarono di approvare una Costituzione che consentisse di governare, ma una che lo impedisse, in modo che chiunque vincesse fosse costretto a scendere a patti. Risultato: abbiamo un Parlamento che ha poteri infiniti e un esecutivo che non ne ha e il cui presidente del Consiglio non può licenziare un ministro neppure se questi è incapace. Tuttavia la questione che sicuramente i manifestanti  di ieri ignorano è che su certi temi  la sinistra, quella stessa sinistra di cui essi sono eredi diretti, sessantacinque anni fa  la pensava in maniera diametralmente opposta a ciò che oggi i protestatari sostengono.  Altro che manettari e giustizialisti: i compagni un tempo erano garantisti e diffidenti nei confronti dell’ordinamento giudiziario. I parlamentari del Pci volevano  magistrati indipendenti, cioè non più soggetti agli ordini del regime, ma allo stesso tempo li volevano soggetti alla legge e alla volontà popolare.  Fosse stato per loro e non per i democristiani, oggi i pm verrebbero eletti, come in America, e ai giudici non sarebbe consentito il vaglio delle leggi e dell’operato di ministri e parlamentari, perché secondo i seguaci di Togliatti l’unico in grado di valutare l’attività dei rappresentanti del popolo era appunto il popolo stesso.  Non solo. I rappresentanti del Pci erano assolutamente diffidenti nei confronti della Corte costituzionale.  Che quindici signori decidevano cos’era giusto e cosa no era considerato un pericolo per la democrazia stessa, perché quei quindici avrebbero potuto arrogarsi il potere di decidere in luogo del  popolo e dei suoi diretti rappresentanti. Insomma, vedendola con il senno di poi, i comunisti avevano capito tutto. Mica come quelli che hanno sfilato ieri per le vie della Capitale...  di Maurizio Belpietro Twitter: @BelpietroTweet

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