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Tasse, dopo l'abolizione dell'Imu la sfida è non aumentare l'Iva

L'innalzamento dell'imposta sui consumi dal 21 al 22% scatterà ad ottobre. Per evitarlo servirebbero 4 miliardi. Il ritocco dal 20 al 21% ha ridotto le entrate e lo Stato l'anno scorso ha perso 3,5 miliardi. Ma Bruxelles...
di Giulio Bucchi sabato 31 agosto 2013

2' di lettura

E ora tocca all’Iva. L’aumento di un punto dal 21 al 22% che doveva scattare a luglio è stato rinviato di tre mesi. Se ne parlerà a ottobre ed è facile immaginare che i dolori avranno la medesima intensità di quelli provocati dal taglio dell’Imu. Il problema è sempre lo stesso: lo Stato non può rinunciare alle entrate aggiuntive e quindi quello che perde per un verso deve recuperarlo da qualche altra parte. Un antipasto l’abbiamo già assaggiato. E non era per niente gustoso.  Per compensare le minori entrate legate al rinvio di luglio (circa un miliardo)  ci sono già stati i primi inasprimenti. A cominciare dal balletto fiscale sulle sigarette elettroniche spente appena dopo averle accese. Con la solita coda di nuova disoccupazione provocata dalla chiusura delle rivendite. L’anticipo di novembre è stato portato al 100% per le persone fisiche e al 101% per le imprese. Le banche addirittura il 110% su alcuni acconti a valere sulla clientela. L’operazione è stata spacciata dal governo come una semplice partita di giro. Il rincaro di novembre sarà compensato a giugno, è stata la giustificazione. Falso perchè ormai si è innescata una reazione a catena per cui le tasse pagate in più non verranno più recuperate.  Senza contare che l’acconto autunnale  vale sull’anno precedente. Quindi il fisco incassa subito. Il contribuente invece dovrà aspettare giugno successivo per regolare i conti nel caso di caduta dei guadagni, assai probabile in tempi di crisi.   Leggi l'articolo integrale di Nino Sunseri su Libero in edicola oggi, giovedì 29 agosto  

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