"Fa benissimo Grillo a usare il pugno di ferro: o state con me o andatevene. Chi se ne va, non ha capito che rischia l'oblio. Perché il M5s forse non è neanche un partito, bensì una setta. E le sette stanno in piedi finché c'è uno che comanda e gli altri che eseguono. Poche storie". Vittorio Feltri nella disputa tra i dissidenti del Movimento Cinque Stelle e il leader Beppe Grillo si schiera dalla parte di quest'ultimo. Dati alla mano, il fondatore di Libero, spiega che sì, 13 parlamentari messi alla porta in dodici mesi sono tanti, ma che alla fine non hanno prodotto quel terremoto in termini di consensi che in molti si aspettavano. Gli ultimi sondaggi danno infatti ancora il M5S al 20% e oltre, "segno evidente", per Feltri, "che la soldataglia grillina, deputati e senatori, per quanto si agiti e dimostri insofferenza verso la linea calata dall'alto, è stimata assai meno influente del generale fondatore. Perché? La gente probabilmente è affascinata, o suggestionata, da Grillo, cui riconosce autorevolezza o almeno carisma, ed è pronta a seguirlo ancora, mentre non dà alcuna importanza ai peones, dei quali sa poco o nulla: non li stima, non li ritiene fondamentali ai fini di un successo politico". Anche perché senza Grillo i grillini non esisterebbero ed "è giusto", scrive il direttore sul Giornale, "che gli obbediscano evitando di andare in cerca di gloria fuori dal recinto. Fatalmente, chi sgarra, perché convinto di potersela cavare in proprio, è destinato a essere espulso. Non ha alternative". Quindi per Feltri fa bene Grillo ad aver mandato via i dissidenti e a chi obietta che la democrazia richiede un continuo confronto di idee tra gli iscritti e un partito risponde: "Tra teoria e la pratica c'è di mezzo l'esigenza di sopravvivere alla burrasca politica. Se il movimento si adeguasse alle regolette che assegnano a chiunque la facoltà di comportarsi secondo coscienza, addio collaborazione, addio unità di intenti. Sarebbe una bolgia". Quindi, "caro Grillo, mandali via tutti".