C’è una canzone che sta accompagnando l’Argentina in questo Mondiale. Si chiama «Brasil, decime qué se siente», un coro dal testo chiaramente anti-brasiliano che è diventato prima l’inno dei tifosi, poi il simbolo di una squadra sbarazzina al limite dell’arroganza. Simbolo perché lo hanno iniziato ad intonare persino i giocatori negli spogliatoi, con urla sopra il limite quando la canzone ricorda la vittoria argentina contro i verdeoro ad Italia '90 e nel finale, «a Messi lo vas a ver, la Copa nos va a traer, Maradona es más grande que Pelé» (tradotto «Ora vedrai Messi, la coppa andremo a vincere, Maradona è più grande di Pelé»). Con l’arroganza di chi non pensa alla semifinale, ma già alla finalissima contro i rivali di sempre. L’Argentina si è presentata in Brasile un po’ sottotono, perché una volta tanto la rosa non dava così grande fiducia né agli esperti né ai tifosi. Eppure a poco a poco, trascinata da capitan Messi, si è scoperta una squadra solida, ritrovando certezze gara dopo gara. Ora la sicurezza è fin troppa, come dimostrato dal coro cantato negli spogliatoi. Sanno di essere forti, forse più forti dell’Olanda che affronteranno in semifinale domani e che è in cerca di vendette lontane, come quella finale del 1978. Ma la carica che spinge l’Albiceleste è diversa: l’obiettivo è alzare la coppa in casa dei rivali. «La Copa nos va a traer», la forza dei 23 di Sabella sta molto in quella strofa cantata a squarciagola negli spogliatoi. Non importa che davanti ci sia l’Olanda, che manchi Di Maria (si proverà a recuperarlo per la finale tramite l’uso delle cellule staminali) e Aguero sia in dubbio, che la difesa non sia al 100% (torna Rojo dopo la squalifica, al centro ballottaggio Demichelis-Fernandez), che pure in mediana Biglia e Gago debbano recuperare dopo qualche problemino: pensano solo ad alzare la Coppa in faccia a Thiago Silva e compagni. Primo fra tutti Leo Messi. Un Messi diventato capopopolo anche in nazionale. Si vede nei piccoli gesti, pure quando canta con i compagni, o tiene il ritmo sbattendo la prima cosa che gli passa per le mani. L’Argentina ci crede perché la Pulce ci crede: «Possiamo vincere perché siamo forti, perché sappiamo soffrire, perché abbiamo fortuna. Possiamo vincere e vincere in Brasile sarebbe diverso». Stavolta l’arrogante è lui, che di solito pare timido. Ma a 27 anni ha capito cosa serve per guidare uno spogliatoio. Di fronte però non ci sarà una squadra qualsiasi, ma un’Olanda diventata «squadra del destino» dopo la mossa-Krul di Van Gaal contro il Costa Rica. In porta domani rivedremo Cillessen dal 1’, con il ct che spera di non dover ricorrere di nuovo alla sostituzione prima dei rigori. Così come Van Gaal dovrebbe schierare l’11 già usato nei quarti. Si cerca la vendetta della finale 1978, già parzialmente vendicata nel 1998 ai quarti. Ma con «Brasil, decime qué se siente», gli arrogantelli argentini partono già avanti. di Matteo Spaziante