Ho commesso un grave errore, lo riconosco. È che Clooney s’è fidanzato, James Franco si fa i selfie a letto con un uomo, Johnny Depp si sposa, Jude Law ha una chierica che neanche Jerry Calà. Insomma, mi si sono appannati in un colpo solo tutti i riferimenti erotici del cinema mondiale e in un momento di sconforto, l’altra sera ,sono andata a vedere il film con Marco Travaglio, Il venditore di medicine. E ho scoperto quello che in tanti sospettavamo da tempo: Marco Travaglio è un attore strepitoso. In sole due pose riesce a polverizzare carriere, riconoscimenti e curriculum di tutti i più grandi stronzi della storia del cinema. Più inquietante di Jack Nicholson, più glaciale di Anthony Hopkins, più perfido di Malcom Mc Dowell, a vederlo recitare nei panni del primario Andrea Malinverni lo spettatore medio pensa che Travaglio non abbia mai fatto altro nella vita. E forse è proprio così: la parte dello stronzo, in effetti, gli è sempre venuta benissimo. Ma veniamo al suo personaggio. L’incorruttibile oncologo Malinverni/Travaglio, pare integerrimo, ma in realtà ha un grosso scheletro nell’armadio. No, non grosso come quelli di Travaglio. Non è una cena con Ana Laura Ribas e neanche una foto al mare uscita su Chi in cui indossa gli stessi slip di Formigoni. È qualcosa che riguarda il suo giro di cliniche private. E qui viene il bello, perché il primario riesce a truffare l’ospedale potendo contare sulla complicità di un altro personaggio: la caposala. Che poi è lo snodo fondamentale della faccenda, visto che finalmente risulta evidente il perché Marco Travaglio abbia accettato di fare l’attore in questa pellicola: non è recitazione, è proiezione. È sublimazione. Dopo anni a immaginare ossessivamente giorno e notte Berlusconi con la Minetti travestita da infermiera, Travaglio ha potuto mettere in scena quella che indubitabilmente è diventata anche una sua ossessione: una tresca con la caposala. E allo stesso tempo, ha potuto recitare in un film che dichiara di affrontare il tema sanità e case farmaceutiche, ma che in realtà è un evidente riferimento all’attuale situazione politica. Ditemi voi se la trama non vi ricorda qualcosa: un giovane ambizioso con una moglie insegnante tenta di convincere tutti che i suoi rimedi possano fare miracoli e intanto frega amici e nemici con abile maestria. Perfino Malinverni/Travaglio. Il quale sarà costretto a prendere il figlio in mano e anziché leggere le solite invettive da Santoro, dovrà compilare la ricetta come dice l’altro. Un brutto presagio. Fossi in Travaglio, continuerei col cinema. Anche perché diciamolo, era dai tempi di Henry Fonda in C’era una volta il west, che un cattivo non attizzava così in un film. Non mi stupirei se il prossimo anno vedessimo Mickey Rourke da Santoro e Travaglio nel sequel di Basic Instinct. Così finalmente, dopo quella per infermiere e caposala, sublimerebbe pure l’altra ossessione: quella per le manette. di Selvaggia Lucarelli