Claudio Scajola, la sfida a testa alta all'arresto-show

di Andrea Tempestinidomenica 11 maggio 2014
Claudio Scajola, la sfida a testa alta all'arresto-show
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La sua madrina al battesimo è Maria Romana, la figlia primogenita di Alcide De Gasperi, mentre il padrino alla cresima Paolo Emilio Taviani. Claudio Scajola, come si evince, è democristiano dentro. Fu quella sua naturale tensione al compromesso, ereditata forse dal padre Ferdinando che fu un notabile dello Scudocrociato, a consentirgli di mettere in piedi dal nulla Forza Italia e di trasformarla, a partire dal 1996, nel primo partito del Belpaese, battendo sul campo la corazzata ex comunista. Scajola, esattamente come Silvio Berlusconi, è caduto mille volte, ma è sempre riuscito a rialzarsi. «Sono stato riabilitato», diceva, fiero, soltanto qualche settimana fa, pronto a fare il pieno di preferenze alle Europee. Ha preso schiaffi a destra e a sinistra, ma, alla fine, è sempre uscito pulito. Forse è anche per questa ragione che ieri, mentre veniva tradotto in carcere, non ha nemmeno provato a nascondersi. Anzi, come notano i fedelissimi, ha guardato dritto in faccia le telecamere e teleobbiettivi, quasi con aria di sfida: voleva farsi vedere. Non si è lasciato intimorire dagli uomini della Dia in pettorina e cappellino - dei quali un tempo era stato capo -, nè spaventare dall’auto blindata e dai flash: si è accomodato dignitosamente sul sedile, pronto ad affrontare il suo destino, a Regina Coeli. Il primo “inciampo” - che, in realtà, fu uno sgambetto - risale al 1983. «Sciaboletta» era sindaco della città d’Imperia e, il dodici dicembre, venne arrestato. Esattamente come accaduto ieri, l’allora prima cittadino fu tradotto in carcere dai carabinieri e rinchiuso a San Vittore. L’accusa era pesante: «Tentata concussione aggravata» nell’ambito di un’inchiesta sugli appalti del Casinò di Sanremo. Dopo sessanta giorni chiuso dentro quattro mura, il democristiano - allora trentacinquenne - venne riabilitato: prosciolto dalle accuse, tornò - a furor di popolo, nel 1993 - sindaco della sua città. L’allora pubblico ministero del processo, cioè il futuro protagonista di Mani Pulite Piercamillo Davigo, ebbe l’onestà intellettuale di chiedere «scusa» per l’errore. Non c’è dubbio che il Cavaliere gli abbia cambiato la vita. Deputato eletto - contro ogni pronostico - nel collegio Liguria 1 nel 1996, diventa uno dei volti più in vista della stagione berlusconiana. È il presidente azzurro che lo ha voluto prima ministro dell’Interno, poi dell’Attuazione del programma, infine dello Sviluppo economico. Si è sempre dovuto dimettere. Nel 2001, quando è a capo del Viminale, sopporta il peso del G8 di Genova: la situazione si infiamma, ma tiene botta e, in compenso, scivola su una buccia di banana l’anno successivo. Chiacchierando con due giornalisti, infatti, il ministro liquida come «un rompicoglioni» Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br, al quale era stata tolta la scorta. Scajola viene invitato a lasciare il governo e si fa da parte. Non perde la stima del fondatore di Fi che, infatti, nel 2003 lo richiama dentro l’esecutivo al Programma e poi lo promuove, nel 2008, allo Sviluppo Economico: il capo degli ex dc azzurri fa il suo ingresso nel dicastero di Via Veneto e ottiene la delega ai rapporti col mondo imprenditoriale. Due anni dopo, mentre l’esecutivo del Cavaliere è in luna di miele col Paese, scoppia l’affare Anemone, la casa al Colosseo pagata metà da lui e metà dall’imprenditore. Quel suo «a mia insaputa» pronunciato nel corso di una conferenza stampa nel tentativo (fallito) di difendersi dalle accuse, è diventato una icona. Anche quella volta Scajola è stato capace di incassare il colpo - dimettendosi - e di aspettare. Qualche mese fa è arrivata l’assoluzione: era innocente, ha pagato ancora una volta per un errore altrui. A marzo era pronto a ripartire. Tra una seduta di giardinaggio (nel corso delle quali rilasciava interviste ai giornali) e l’altra si è girato la Liguria, sicuro di finire candidato alle Europee. Ancora il giorno prima della chiusura delle liste, il suo nome era in forse nella circoscrizione Nord-Ovest. «I sondaggi dicono che ci fai perdere voti», gli fece sapere il Cavaliere. A metterlo fuori, invece, ci ha pensato Giovanni Toti: «Non sarà in lista». Lui, l’ex sindaco di Imperia, l’ex coordinatore, l’ex ministro, si è infuriato: «Berlusconi mi ha deluso, non ha avuto il coraggio di parlarmi perchè sa che l’avrei convinto». Rottura, insomma. Ma l’ex ministro e il Cavaliere - fa notare un azzurro della prima ora - non romperanno mai davvero, perchè si stimano. «Sono addolorato», ha commentato ieri Berlusconi. Non gli è sfuggito - come a nessuno degli azzurri - che l’operazione che ha portato al suo arresto era stata annunciata a qualcuno, che giornalisti e telecamere sembrano lì ad aspettare questo nuovo “colpo di scena”. «Dite alla mia famiglia che sto bene, che sono tranquillo e che la verità emergerà», le uniche parole affidate ai legali. di Paolo Emilio Russo