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Filippo Facci: le indimostrabili panzane del "retroscenista" del Fatto Quotidiano

di Andrea Tempestini domenica 30 marzo 2014

3' di lettura

Il giornalismo di retroscena politico vale quello che vale, lo sappiamo tutti: ci sono poche eccezioni - poche davvero - ma per il resto ridonda di invenzioni che ormai non meritano neanche smentita. Ieri, per esempio, sul Fatto Quotidiano, Fabrizio D’Esposito ha scritto che Berlusconi avrebbe detto una serie di cose sulla figlia Barbara, sull’ex moglie Veronica, su Giovanni Toti, su Stefania Prestigiacomo e su un paio di direttori di giornale: cose che Berlusconi avrebbe confidato con un «lungo sfogo» fatto a «un berlusconiano di vecchia data». È quanto basta per suscitare delle reazioni, dei commenti, un po’ di cicaleccio da talk-show: ma che c’è di vero? Dico la mia: potrebbe anche essere tutto verosimile, ma vero no. Io non credo a una sola parola di quanto scritto da Fabrizio D’Esposito, e questo per una ragione essenziale: conosco questo mestiere e conosco - quanto basta - Fabrizio D’Esposito. Mi spiego meglio. Anzitutto la sua fonte è anonima e dunque dovremmo fidarci di lui, di D’Esposito, dovremmo cioè credere che «un berlusconiano di vecchia data» entri in confidenza con Berlusconi e per prima cosa, subito dopo, corra a raccontare tutto a uno come D’Esposito o a un suo amico: non ci crederò mai. In secondo luogo, so come funziona: si prendono delle voci effettivamente circolanti e verosimili e soprattutto appetibili (quelle riportate da D’Esposito e attribuite al fantasma di vecchia data) e si buttano in un generico calderone che in ogni caso non passerà mai al setaccio della verità: anche perché oggi si scrivono così tante cazzate che, come detto, non si perde neanche più tempo a smentirle, a meno che la testata o il giornalista siano particolarmente rilevanti. Una smentita, oltretutto, darebbe comunque soddisfazione al giornalista (D’Esposito, nel caso) perché ritenuta comunque un segno di attenzione, la conferma che l’articolo è stato letto da qualcuno. Questo è ciò che succede in linea generale. Perché poi, in terzo luogo, c’è la modesta esperienza personale: ho notato che gli articoli di D’Esposito sono spesso un po’ così, pieni di fantasmi che dicono cose, un genere molto romano Prima repubblica. Mi torna in mente quando, nei primi anni Novanta, la bufera di Tangentopoli tagliò fuori i giornalisti da Transatlantico abituati a far parlare sempre «berlusconiani di vecchia data» e vari ectoplasmi: con Mani Pulite non lo potevi fare, perché se sbagliavi mezza virgola arrivava una querela di sei chilometri. Una lezione dimenticata: soprattutto al Fatto Quotidiano, che pure voleva portare una ventata di freschezza nella palude giornalistica. Ma questi sono discorsi da vecchi. Torniamo però a D’Esposito, anche se non ce l’ho con lui e anche se mi dicono che insomma, come dire, esistono altri bersagli nella vita. Io me lo ricordo, D’Esposito: una volta scrisse anche di me e mi intervistò pure, anche se nel suo articolo poi non riconobbi una parola di quello che avevo detto. Lui, ai tempi, lavorava al Riformista: si diceva dalemiano e stravedeva per Antonio Polito, suo direttore. In precedenza l’avevo conosciuto al Foglio, dove faceva tipo lo stagista nonostante l’età matura: schiscio e umilissimo, si sbellicava per le battute fatte dai superiori di grado - cioè tutti - e alle cene si scofanava di cibo, ricordo questo. Simpatico. A Giuliano Ferrara non piaceva molto: «È napoletano», diceva in senso spregiativo. Poco male. Dopo Ferrara e Polito, ora D’Esposito stravede per Marco Travaglio, invitato alle sue nozze insieme al governatore Stefano Caldoro: un craxiano - pardon, berlusconiano - di vecchia data. di Filippo Facci @FilippoFacci1

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