E' finito il suo turno, la democrazia a cinque stelle impone la rotazione dei suoi appartenenti nella cariche e per Paola Taverna, fino ad oggi capogruppo al Senato del M5s, è arrivato il momento di rimettere il mandato. Romanaccia di Quarticciolo, impiegata in un poliambulatorio di analisi mediche, grillina della prima ora, la Taverna è una che molto ha dato al dibattito pubblico con la sua cadenza capitolina, con il suo spontaneismo popolare, con le sue battute salaci. La Taverna è una, per capirci, che ha pronunciato un duro intervento in Aula contro i partiti di maggioranza, all'insegna del: "Voi non siete gnente". Non avete "abbolito il finanziamento pubblico ai partiti", non siete riuscita a "produrre una legge efficace contro l'omofobbia", urlava lo scorso 2 ottobre, in occasione del voto di fiducia al governo Letta, e non avete cancellato i "rimborzi elettorali". Applausi. E' una che è sempre piaciuta ai suoi, la Taverna. Energica, ruspante, combattiva, che brinda alla decadenza di Silvio Berlusconi, senza peli sulla lingua e senza paura di fare gaffe o, più banalmente, risultare eccessiva. Come quando, durante un comizio in provincia di Napoli, si lanciò in una lunga invettiva contro il Cav: "E' una statua di cera, non lo sopporto più, un giorno di questi gli sputo". O come quando, un mesetto fa, parlando ancora del premier si è lasciata scappare: "Mo lo devo dì, a Letta avrei dato una capocciata". E' una ganza, la Taverna, pure quando si impelgata nei litigi parlamentari. Non l'è piaciuto, ad esempio, quando a novembre l'azzurro Galan l'ha definita nazista: vanno bene le offese, lamentò, ma il senatore Forza Italia "avrebbe dovuto usare un aggettivo quantomeno al maschile" (quale, nazisto?). Insomma, la senatrica pentastellata ha un profilo talmente alto che dispiace che dismetta la casacca da capogruppo. Inevitabilmente da semplice parlamentare sarà un filino meno presente nel dibattito. Peccato: una come lei meriterebbe sempre il centro della scena.