Calcio, dalla Fifa ok al turbante. Ma vieta le magliette...

di Andrea Tempestinidomenica 2 marzo 2014
Calcio, dalla Fifa ok al turbante. Ma vieta le magliette...
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Sì al velo islamico in testa, no al “Gesù ti amo” sulla maglietta. Anche il calcio s’inginocchia verso la Mecca: la federazione internazionale del football ha deciso ieri che giocatori e giocatrici potranno scendere in campo con hijab, niqab, chador e (già che ci siamo) anche turbanti sikh. I copricapo erano stati vietati da anni per motivi di sicurezza: pare che aumentino i rischi di infortuni al collo e alla testa. E che invece ora vengono sdoganati. Che ci volete fare? Il 2022 si avvicina, il Mondiale nel Qatar pure. E la simpatia degli arabi vale pure il rischio di qualche infortunio, no? Il torcicollo passa, i miliardi del petrolio restano. Qualche giorno fa il velo islamico ha fatto il suo esordio in un campionato italiano: lo indossava una ragazza arbitro in provincia di Cremona. Ora sarà interessante vedere quando cominceranno anche le giocatrici, trasformando l’area di rigore in una specie di ritrovo di donne mascherate. E poi diventerà ancor più divertente quando scenderanno in campo i primi bomber col turbante sikh: sicuramente sotto porta riusciranno a svettare più in alto di tutti. Dal colpo di testa alla Aldo Serena al colpo di testa alla Sandokan: il copricapo potrà essere un aiutino per arrivare anche sui palloni impossibili? O diventerà un’arma per i difensori che si aggrapperanno ad esso come oggi fanno con i pantaloncini degli avversari? E se salta via il turbante è un fallo da ammonizione? O da espulsione? E se i tifosi dagli spalti si metteranno a ridere sarà forse considerato un insulto razzista? L’unica cosa che chiede la federazione internazionale è che i copricapo siano dello stesso colore della maglia. Si capisce: l’estetica è importante. Che un centravanti abbia un elmo sulla capa non importa nessuno: purché faccia pendant. E non escludiamo che, una volta aperta la strada a veli e turbanti, anche altri copricapo possano essere introdotti: le squadre russe potrebbero allora chiedere di scendere in campo col colbacco, quelle messicane col sombrero, quelle siciliane con la coppola, quelle un po’ addormentate potrebbero usare la papalina da notte, quelle che vanno all’assalto il berretto da bersagliere, quelle che sfoggiano un gioco elegante la bombetta, il cilindro o la tuba. Quante volte gli allenatori hanno detto ai giocatori: per vincere oggi bisogna mettersi l’elmetto? Ecco, ci siamo: ora potranno farlo davvero… Divieto assoluto invece di mostrare scritte sotto le magliette. Dal 1 giugno (e dunque dai prossimi mondiali) chi alzerà la divisa per mandare messaggi d’amore, di amicizia, di fede o di sfottò sarà severamente punito. Finirà così una lunga storia: dal “6 Unica” con cui Totti fece brillare gli occhi a Ilary Blasi al famoso “Vi ho purgato ancora”, sempre del Pupone, ma nel derby; dalle scritte di Di Natale per ricordare Califano a quelle di Tevez per i suoi amici argentini; dalle provocazioni di Materazzi alla Juve (“Rivolete anche questa?”, in occasione della vittoria in Champion League) alla commozione di Iniesta che vincendo la finale dei mondiali in Sudafrica festeggiò con una t-shirt dedicata a un giovane calciatore catalano morto per un attacco cardiaco (“Dani siempre con nosostros”). Ma spariranno anche (soprattutto?) le scritte degli Atleti di Cristo, quelle sulla loro fede: il “Grazie Dio” di Amoroso, l’”Io Amo Gesù” di Cavani, il “Gesù è la Verità” di Nicola Legrottaglie e il più famoso di tutti, quell’ “I belong to Jesus” che campeggiava sulla maglia della salute di Kakà. Ed è abbastanza singolare che mentre viene dato il via libera al velo islamico venga vietato invece il messaggio cristiano. Avanti di questo passo e ci aspettiamo che la prossima mossa sia la multa per il calciatore che entra in campo facendosi il segno della croce. O magari l’obbligo di recitare un versetto del Corano prima di tirare il calcio di punizione. Tanto fra i cattolici nessuno protesterà. E in Qatar, al contrario, apprezzerebbero molto. Se vi sembra un salto all’indietro, non preoccupatevi: è proprio così. Fra le varie decisioni prese ieri dalla federazione internazionale del football, infatti, c’è anche il no, praticamente definitivo, alla moviola in campo. “Il video rischia di snaturare il nostro sport”, hanno detto i sommi capi con la testa nel pallone. Unica piccola eccezione: i gol fantasma. Per quello si potrà, in modo limitato e discreto, la prova video in diretta. Per tutto il resto, invece, si continuerà come sempre: gli errori, le polemiche, i sospetti, i rigori negati, i fuorigioco sbagliati, materiale sempre buono per le discussioni al bar sport e per gli indici di ascolto dei talk show del lunedì. Ma non certo dimostrazione di progresso. Tutt’altro: fa una certa impressione il modo in cui il nostro amato calcio cammina verso il futuro, non vi pare? Dice no alla tecnologia e sì allo hijab, no agli strumenti più moderni e sì al turbante sikh. Sembra il cammino del gambero. Che fa nascere un sospetto: dopo i mondiali del 2022 in Qatar, nel 2026 dove si giocherà? A Cartagine? A Ninive? Sotto le mura di Troia? di Mario Giordano