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Il "Nerone" (umanissimo) portato in scena da Edoardo Sylos Labini

di Andrea Tempestini domenica 19 ottobre 2014

2' di lettura

«Solo la poesia può salvarci», dice a un certo punto Nerone, trovando così un poco di conforto dopo aver cupamente preconizzato che, di lui, non resterà altro che «duemila anni di menzogne». Ma più che la poesia, a salvare l’imperatore romano potrebbe essere il teatro, o almeno questo è quel che piacerebbe a Edoardo Sylos Labini, regista e protagonista dello spettacolo _Nerone. Duemila anni di calunnie_ (in scena fino a stasera al Teatro Manzoni di Milano e poi in tournée in varie città italiane fra cui Monza, Pavia, Mantova, Firenze e Catanzaro), in cui la figura di colui che secondo la tradizione avrebbe dato fuoco a Roma viene per una volta tratteggiata tenendo maggiormente in conto la plausibilità storica piuttosto che la leggenda. Dando forma scenica a un testo scritto da Angelo Crespi sulla base di un saggio di Massimo Fini, Sylos Labini fa il possibile per proporre (ed è curioso che ciò avvenga proprio a teatro) un Nerone umanissimo, lontano da qualsivoglia maschera. Obiettivo che viene raggiunto grazie a un’interpretazione trascinante ma misurata, priva di istrionismi, e a una regia che contribuisce non poco a conferire alle vicende rappresentate un carattere di universalità. Nerone smette in questo modo di essere una figura cristallizzata nei risaputi - e quasi certamente falsi - cliché negativi per divenire un uomo di oggi in tutta la sua complessità: un individuo dotato, ambizioso, amante dei piaceri terreni ma abbastanza raffinato da apprezzare e valorizzare le arti, capace di pensiero non meno che di azione e, soprattutto, provvisto della rara dote di entrare in sintonia con il popolo. È in virtù di questo aspetto, in particolare, che il Nerone di Sylos Labini rimanda all’oggi. Ma non a un oggi generico, bensì proprio all’attualità italiana. È infatti inevitabile cogliere nell’imperatore romano il riflesso di personalità politiche dei nostri giorni in grado di sedurre e quindi anche di suscitare le invidie e i voltafaccia (come quello di Seneca ai danni di Nerone) di chi prima era un sodale. E non è questione di destra o sinistra, essendo lecito pensare a Berlusconi come a Renzi. Tutti i personaggi, del resto, con un felice anacronismo, vestono abiti contemporanei, con solo qualche accessorio riferibile all’epoca romana. Al buon esito del lavoro concorre la valida direzione degli attori, con una nota di merito per l’intensa Agrippina di Fiorella Ceccacci Rubino, madre che tiene così tanto al proprio figlio da amarlo addirittura quanto ama il potere. di Giuseppe Pollicelli

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