Una madre con figlio disabile racconta il tragico quotidiano

Tempo di imparare, l'ultimo romanzo di Valeria Parrella
di Paolo Bianchidomenica 6 aprile 2014
Una madre con figlio disabile racconta il tragico quotidiano
3' di lettura

Solo alcune settimane dopo aver letto Tempo di imparare (Einaudi), il recente romanzo di Valeria Parrella, riesco a scriverne. Mi sono confrontato con altri lettori e ho impiegato del tempo a farmi un'opinione. Non userò categorie critiche oscure, non sono un genere che mi appartenga. Cerco di dire che cosa ho capito io, che cosa ho sentito durante e dopo la lettura. Intanto, l'argomento è doloroso. Si tratta dell'handicap, della condizione svantaggiata di un bambino che inizia la scuola elementare essendo a tutti gli effetti un diverso. Un "diversamente abile" direbbero gli amanti dell'eufemismo. Il punto di vista è quello della madre, che parla in prima persona, rivelando a poco a poco se stessa. Parrella, lo devo dive, ha una prosa molto sorvegliata, che soppesa ogni parola e ogni sua posizione nella frase, ma non di rado è criptica, ermetica. In altre parole, fa fare al lettore la fatica di pensarci su. Eccone un esempio: "Non ci credo che tutti soffrono, anche se lo so che il dolore è endogeno e non serve un handicap per soffrire". Talvolta i periodi si contorcono e si avviluppano giocando con la sintassi e l'etimologia, in modo però che appaia chiaro al lettore che chi li produce conosce bene le regole. Continuo è il ricorso a parallelismi mitologici. Affrontare la vita prendendosi cura di un bambino così sfortunato equivale a compiere le dodici fatiche di Ercole. La fatica c'è ed è quotidiana. E' un continuo scontrarsi con un mondo che è fatto per i normali, e già abbastanza duro per loro, figurarsi per chi parte svantaggiato. Quasi subito mi si è posta una questione: Parrella parla di qualcosa che sa per esperienza vissuta? E' lei stessa madre di un bambino handicappato? Altrimenti, come potrebbe conoscere così a fondo certi meccanismi procedurali, certe esperienze obbligatorie? Mi hanno detto che non è importante, ma io non lo credo. Solo che per uno scrupolo forse eccessivo ho rinunciato a verificare, a chiedere.  Se l'autrice parlasse per conto d'altri dovrebbe aver compiuto ricerche molto precise e approfondite. Di certo frequenta un gruppo di volontari che si stringono e si uniscono per affrontare problemi comuni. C'è, a un certo punto e inaspettata, una risposta del celebre neurologo Oliver Sacks, da New York, che sembra vera, e probabilmente lo è. E' una risposta standard che non offre alcun appiglio al sofferente.  "Imparare a essere cinica, quella è stata roba da poco". Questa frase mi ha fatto riflettere. Di fronte al dolore di un figlio autistico, o con possibili minorazioni fisiche e mentali (come sembra essere il caso in questione, anche se le descrizioni sono frammentarie e contorte), di fronte a quel dolore, dunque, si reagisce con il fare. Affrontare la burocrazia, per esempio. Magari per ottenere un insegnante di sostegno. Ecco, la burocrazia è un mostro che devasta i bisognosi, che li allontana continuamente dalla tregua di un momento di serenità, di riposo. Bisogna sempre stare attenti, inseguire i propri diritti per non trovarsene privati.  C'è un capitolo drammatico di confronto tra genitori e luminari, e di rabbiosa impotenza contro il loro linguaggio evasivo, e l'incapacità di dare soluzioni. I detrattori di Parrella (ho scoperto che non sono pochi) se la prendono con lei sostenendo che gonfi di enfasi ogni argomento, anche il più sgradevole, per ottenere un facile effetto di stile letterario. Non credo sia così. Preferisco credere alla sua buona fede. Per quanto io stesso abbia faticato a capire una lingua che rifiuta la semplicità. Ma ho capito che sotto c'è un'urgenza vera, una capacità d'immedesimazione. Un prendere le cose molto sul serio.