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I soldi di Renzi li ha già spesi Letta

di Maurizio Belpietro domenica 16 marzo 2014

4' di lettura

Tutti danno i numeri, a cominciare da Matteo Renzi. Domenica, da Fabio Fazio, il premier ha annunciato che mercoledì metterà 10 miliardi nella busta paga degli italiani che guadagnano meno di 1500 euro al mese. Così, ha spiegato, le persone a più basso reddito avranno un po’ di soldi da spendere e faranno ripartire i consumi. Idea non del tutto balzana, che da parecchio suggeriamo: il governo abbassi le tasse e l’economia si risolleverà da sola, senza bisogno di particolari strategie. Il mercato interno è infatti quello che soffre e se si taglia la pressione fiscale è probabile che torni a respirare. Fin qui dunque nulla da dire: non possiamo che plaudire alle intenzioni di rendere il Fisco meno vorace. Da una vita ne denunciamo gli eccessi, figurarsi se non festeggiamo quando per una volta viene messo a dieta. Il problema spunta però nel momento in cui ci si rende conto che i dieci miliardi non sono dieci ma sette, cioè quasi un terzo di meno di quanto annunciato in diretta tv. A rivelarlo è uno che se ne intende, cioè il viceministro dell’Economia Enrico Morando, il quale ieri in un’intervista al Messaggero correggeva le cifre sparate dal suo premier, specificando che nei famosi dieci miliardi sono inclusi anche i tre che nei mesi scorsi aveva messo sul tavolo Enrico Letta e di cui già beneficiano i lavoratori dipendenti. Insomma, Renzi si è rivenduto ciò che il precedente governo ci aveva già venduto. Un furbata a cui però se ne aggiungono altre. Tanto per cominciare, anche i sette miliardi forse non sono sette, in quanto a poco più di ventiquattro ore dal D-Day di Renzi le coperture finanziarie sono ancora ballerine. Il grosso dei fondi necessari a ridurre il cuneo fiscale dovrebbe arrivare dalla cosiddetta spending review, cioè dalla revisione della spesa, ma ad oggi del lavoro di taglio e cucito affidato al commissario Carlo Cottarelli non si sa ancora nulla. Il ministro Padoan, nell’intervista al Sole 24 Ore di pochi giorni fa, ha lasciato intendere che da quel fronte potrebbero arrivare anche cinque miliardi su base annua, che però, essendosene già andato un quarto del 2014, si riducono a 3,5 miliardi, cioè la metà di quel che serve. E gli altri soldi da dove arrivano? Sulle coperture è buio fitto. Dai sussurri che arrivano da via XX Settembre, sede del ministero dell’Economia, si intuisce un clima di scontro interno al governo, in quanto i ragionieri di Stato sanno bene che senza tagli quei soldi non ci sono e quindi puntano i piedi dinanzi alle richieste del premier. Il quale, a quanto pare, con le sue promesse si è spinto troppo in là, senza sentire le ragioni di chi gli suggeriva prudenza. A questo punto è assai probabile che domani Renzi confermi comunque la riduzione del cuneo fiscale per un valore di sette miliardi (cui si aggiungono i tre del suo predecessore), ma i guai potrebbero venire dopo. Si tratterebbe della riedizione del famoso balletto intorno all’Imu, la cui abolizione fu annunciata prima di giugno da Enrico Letta senza concretizzarsi fino a dicembre, per poi ripresentarsi a gennaio. Una riduzione delle tasse sulla prima casa che di fatto gli italiani pagheranno cara quest’anno, restituendo con la Tasi ciò che non avevano versato in precedenza. Insomma, la fretta del presidente del Consiglio di dimostrare che con lui si cambia davvero verso potrebbe rivelarsi un pasticcio. Tuttavia, a proposito di pasticci, Renzi ne ha combinata un’altra delle sue. E non con la riforma elettorale che sarebbe dovuta essere approvata a febbraio, ma con il noto pagamento dei debiti della pubblica amministrazione. Come i lettori ricorderanno, lo Stato e gli enti locali devono agli imprenditori una montagna di miliardi: 70 secondo alcuni, cento e passa a dire degli altri. Sta di fatto che, nei suoi primi cento giorni, il premier aveva promesso di pagarne almeno sessanta. Cifra enorme, che per molte aziende farebbe la differenza, aiutandole a tirare avanti senza far ricorso al credito bancario. Anche qui tutto bene: idea ottima, che dovrebbe indurci a dire «finalmente». Peccato che pure in questo Matteo abbia dato i numeri. I miliardi infatti non sarebbero 60, in quanto nel conteggio ci sarebbero quelli che Letta ha già pagato e altri che lo stesso Enrico aveva messo a bilancio per il 2014.  In pratica, i nuovi fondi a disposizione delle aziende ammonterebbero «solo» a 13 miliardi. Certo, sempre meglio 13 che niente. Così come, piuttosto che non ricevere nulla in busta paga, anche 3,5 miliardi fanno comodo. Ciò nonostante, se questi sono i numeri, la grande rivoluzione non c’è. Forse è rimandata, ma per ora siamo al rivolo, che per di più dentro la maggioranza vorrebbero dividere in due, un po’ ai lavoratori e un po’ alle imprese, così alla fine nessuno può gioire e la penitenza continua.

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