Non è sempre facile. L’altra sera ero in diretta televisiva, su La7, ed ero seduto vicino al camorrista Carmine Schiavone, un pentito che stava raccontando la favola di una mafia antica e buona contrapposta a una mafia moderna e cattiva, quella che oggi ammazza i bambini. Schiavone stava vantandosi che lui, esponente della mafia antica e buona, a suo tempo fece evirare un tizio. In studio, solo Antonio Ingroia si è permesso educatamente di eccepire. Io avrei voluto prendere Schiavone e appenderlo al muro, almeno zittirlo, ma è una persona anziana e poi temevo il trash televisivo, così alla fine non ho detto niente e non mi hanno neanche dato la parola. E mi vergogno ancora adesso. Continuo a pensarci. Accade mentre i giornali dedicano paginate ai deliri senili di Totò Riina: viene riportata ogni sua parola mentre ridacchia di come fece saltare Falcone e Dalla Chiesa, e ostenta la sua spacconeria di fronte alle stragi, la sua ironia contro i servitori dello Stato che i porci come lui hanno fatto ammazzare. Ecco, noi offriamo pagine e microfoni a questa gente, che meriterebbe un cappio al collo se solo fossimo bestie come loro. Noi parliamo di «testimonianza» e del dovere di informare, ma tutto alla fine si riduce a mezzo punto di share o a polemicucce da scagliare contro questo o quello. Forse no, forse non dovremmo dare spazio e dignità a questi maiali: e basta. Non è vero che lo spettacolo deve sempre andare avanti.