«E allora abbiamo dovuto chiedere un sacr... sacr…», Elsa Fornero non riesce a finire la parola «sacrifici» che scoppia in lacrime. Tutti ricordano il debutto in conferenza stampa al fianco di Mario Monti e gli elogi dei commentatori per la sensibilità e l’umanità del nuovo ministro del Welfare «Com’è umana lei!», avrebbero commentato Giandomenico Fracchia o il ragionier Ugo Fantozzi. I sacrifici non sono belli per chi li subisce, tranne per i casi di masochismo. Stesso discorso per chi li richiede agli altri, i sacrifici possono essere imposti per necessità oppure per sadismo. Sin dai primi giorni del governo tecnico tutti gli italiani, consapevoli della difficilissima situazione che il Paese sta attraversando, sono convinti che i sacrifici siano necessari per uscire dalla crisi e sono disposti a caricarsene sulle spalle una quota proporzionale alla capacità di sopportarne il peso. Visti gli effetti nulli sull’economia, in molti cominciano a pensare che i sacrifici siano fini a se stessi. La conferma del sadismo politico-economico dei professori arriva qualche mese dopo la fine del governo Monti, proprio da un ministro di quell’esecutivo, Andrea Riccardi, che, secondo quanto riportato da Dagospia, ammette che «più Monti assumeva provvedimenti lacrime e sangue, più esodati la Fornero creava, più saliva la protesta e la sofferenza delle classi più deboli, più a Palazzo Chigi erano soddisfatti perché proprio quella era la dimostrazione lampante di credibilità verso la signora Merkel Angela. Più legnate riuscivano a dare al Paese più pensavano di essere forti in Europa». In pratica per i tecnici il rigore serve a mostrare agli altri Paesi il grado di resistenza dei propri cittadini, l’austerità non è una ricetta economica ma una punizione pedagogico-morale per l’espiazione delle colpe e dei peccati. Così gli esodati - lavoratori che hanno sottoscritto accordi di scivolo verso la pensione e che, a causa della riforma Fornero, si ritrovano senza lavoro e senza pensione - devono fare una biblica traversata nel deserto. Come i pensionandi vengono strigliati i giovani, accusati dalla Fornero di voler cercare un monotono posto fisso e di essere «choosy», schizzinosi, non disposti ad accettare lavori umili e sottopagati. Il ministro avrebbe potuto citare come esempio di giovane non choosy la figlia, Silvia Deaglio, che accetta due monotoni posti di lavoro, i primi che le capiatno: professore nell’università in cui insegnano sia il padre sia la madre e responsabile delle ricerche di un ente finanziato dalla Compagnia di San Paolo, di cui mamma Elsa è stata vicepresidente. Con lo stesso rigore della Fornero anche il suo giovane vice, Michel Martone, dice che «chi si laurea dopo i 28 anni è uno sfigato». Un problema non suo, fortunatissimo figlio del magistrato e presidente dell’Anm Antonio Martone, che diventa giovanissimo professore associato a 27 anni e ordinario a 29, sbaragliando ogni sorta di concorrenza. Con genitori, così nessuno è choosy ed è meno doloroso sopportare sacrifici. di Luciano Capone