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Ebola, lebbra e scabbia: non accusate di razzismo chi denuncia il contagio

di Giulio Bucchi domenica 10 agosto 2014

2' di lettura

Un flagello biblico, che ricompare dal nulla e per la prima volta esce dalle pagine e si presenta ai nostri occhi vero e tangibile, anche se non ci si vuole credere. Avere a che fare con i lebbrosi è roba da santi e da figli di Dio, mica da medici e infermieri di Treviso. Eppure lì che la lebbra si è manifestata, nel corpo di un bengalese di 38 anni. E noi che, al massimo, ci aspettavamo che l’unica bengalese letale fosse la celebre tigre. Poi c’è l’altra malattia. Un virus che porta a una morte atroce, raccapricciante, fatta di emorragie continue e mostruose. Un assassino di massa. Un belva feroce che abbiamo sempre immaginato con raccapriccio, ma tutto sommato tranquilli, perché la sapevamo rintanata nelle foreste dell’Africa, troppo lontana dagli occhi per far stringere il cuore. Invece è sbarcato per la prima volta in Europa - per la precisione in Spagna - un malato di Ebola. Certo, si tratta di un prete, di un europeo, e sono state prese tutte le precauzioni necessarie per evitare conseguenze nefaste. Già, ma gli altri? Perché il dubbio vero è questo: e se ce ne fossero altri? Ieri il ministero della Salute ha inviato una circolare che allertava le unità sanitarie e non solo affinché adottino «ogni azione utile di vigilanza in riferimento ad arrivi diretti e indiretti» da Paesi quali la Sierra Leone, la Guinea, la Liberia e altri Stati della zona. Ora, siamo davvero in grado di sapere chi arriva da queste zone? Quanti sono, dove e in che condizioni giungono in Italia? La risposta, ovviamente, è no, considerato il modo in cui viene gestita l’immigrazione a casa nostra. Adesso sappiamo con certezza quali sono i rischi. Ovvio, a scrivere queste cose si viene immediatamente tacciati di razzismo, ci si prendono gli sberleffi dei nobili pensatori progressisti, che ti guardano come se fossi un orango (e, tra l’altro, non c’è niente di male negli oranghi). Però bisogna prendere atto che sul nostro territorio si manifestano casi di malattie scomparse da anni, tra cui la tubercolosi. Parlare di un lebbroso a Treviso sembra fantascienza o una brutta barzelletta. Invece c’è, e chissà che conseguenze avrà. Temiamo per l’Ebola e per altri flagelli. E tutto perché da anni soffriamo di buonismo a oltranza: una malattia senile del comunismo. Letale, per di più. di Francesco Borgonovo

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