Era il tempo in cui l’Italia vinceva i Mondiali, in cui le nostre squadre vincevano Champions e arrivavano dall’estero fior di campioni, felici di giocare nel campionato allora definito «il migliore al mondo». Era anche il tempo in cui ci si poteva permettere di fare ironia su questo sport senza nulla togliere al comune interesse e al regolare svolgimento del campionato. Aldo Biscardi, scomparso ieri a Roma a 86 anni, lo aveva capito prima di tutti, e per questo si era inventato il teatrino che aveva preso da lui il nome di Processo di Biscardi, che è durato nel tempo proprio perché la gente lo ha sempre considerato un programma scevro da ragioni politiche. Era uno show che si guardava per puro divertimento. Aldo voleva «la moviola in campo» e, curioso, ci ha lasciato subito dopo l’avvento del Var. In ogni caso non si era mai posto il problema di dover influenzare l’opinione pubblica, né poteva d’altra parte influenzarla proprio per il suo carattere di burlone. Pur capendo di calcio come pochi, riusciva a trasmetterlo ai telespettatori anche grazie ai celebri sfondoni tipo sgub, da lui inventati non certo perché non conoscesse la lingua italiana. Il Processo di Biscardi era nato al tempo dei cosiddetti mecenati che conducevano le squadre con le risorse economiche di cui disponevano. E lui in quel tempo era diventato il paladino di quei grandi personaggi che guidavano il calcio, che sapeva divertire con la sua ironia che non sconfinava mai nella strafottenza di chi, avendo un mezzo a disposizione, poteva anche trasformarsi in accusatore: non era nel suo stile. Quando poi il calcio è cambiato, quando le società sono diventate Spa, quando sono entrati in ballo i diritti tv e i tanti interessi che stanno condizionando tutt’ora questo sport, quasi avvelenandolo, lui e la sua trasmissione sono andati avanti ugualmente, perché continuavano a seguirlo gli innamorati del calcio che fu. Era un calcio genuino che Aldo ha saputo portare avanti in un tempo in cui il romanticismo prevaleva sull’astio sia in chi seguiva questo sport che in chi lo raccontava. Chi vi scrive è stato un grande amico di Aldo e piange la sua dipartita con il sentimento di chi ha perso un familiare. Ero spesso ospite della sua trasmissione, perché sapevo che a lui faceva piacere tanto quanto lo facesse a me: eravamo due persone che volevano divertirsi e divertire. Ricordo quando durante una trasmissione mi chiese di non andare in video ma di sostare in sala regia. Sul momento non riuscii a capirne la ragione e neppure la chiesi, perché ero curioso di conoscere gli sviluppi. Disse Aldo: «Siamo riusciti a rintracciare Moggi all’aeroporto di New York, ci dirà adesso gli sviluppi del calciomercato della Juve», e gli parlai stando a dieci metri da lui. Durante Calciopoli lo accusarono di aver preso in regalo l’orologio che gli regalai. Chi lo ha fatto non conosce il significato della parola «amicizia»: a Natale eravamo soliti scambiarci dei doni e i suoi quasi sempre valevano più dei miei. D’altra parte non c’erano secondi fini come invece hanno cercato di dimostrare gli accusatori: la sua trasmissione era considerata tutto tranne che influente e la mia squadra era talmente forte da non avere bisogno di aiuti. Le telefonate a Baldas erano fatte più per colorire la trasmissione che per avere favori. In proposito Biscardi per dare loro più importanza aveva anche inventato «la patente a punti» per punire gli arbitri in caso di pessimo arbitraggio. Figurarsi quanta considerazione potessero avere queste sue trovate: gli arbitri erano seguiti da un commissario e solo la sua relazione aveva valore. Eppure per aggravare questi comportamenti chi indagava ha cercato di dare più importanza al Processo, gestito già da tv private, piuttosto che a quelle ben più influenti dei grandi colossi, al punto che l’inquirente, durante il processo (quello vero), ha anche detto senza vergogna di non sapere che Berlusconi fosse proprietario di Mediaset. Caro Aldo, ci siamo divertiti e in coscienza sappiamo di non aver mai reso l’interesse di nessuno, avevamo solo colpa di essere i più bravi, tu nel tuo lavoro e io nel mio. Arrivederci Aldo, speriamo in un mondo migliore di questo. di Luciano Moggi