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Vittorio Feltri: "Quella banda di comunisti che mi ha disgustato". La vendetta contro i compagni

di Cristina Agostini domenica 10 novembre 2019

2' di lettura

La caduta del muro di Berlino, avvenuta 30 anni fa, è oggetto in questi giorni di commemorazioni retoriche e noiose. I giornalisti cerimonieri ne parlano senza requie quasi si trattasse di un avvenimento gioioso. In realtà quel crollo voluto dalla gente comune della Germania Est segnò la morte del comunismo, non dei comunisti. Che ancora oggi continuano a rompere le balle con le loro utopie, basta vedere quanto succede in Cina che è riuscita a mischiare il collettivismo più rigido con uno sfrenato capitalismo. Un ibrido vomitevole che tuttavia non accenna a trasformarsi in qualcosa di simile a un regime liberale. Il dì in cui la barriera oscena che divideva il popolo tedesco si sbriciolò io ero direttore di un settimanale importante, l'Europeo (Rizzoli). Il quale però non uscì per due mesi a causa di uno sciopero dei redattori (tutti) motivato dal fatto che non ero comunista, quindi sgradito all' assemblea dei colleghi. Peggio: avevo fama di essere addirittura anticomunista in quanto socialista. Leggi anche: "E ci lamentiamo se ci chiamano inaffidabili?". Vittorio Feltri, la Francia e un'amarissima verità sull'Italia Il maledetto muro era pertanto cascato a Berlino eppure era rimasto in piedi, ben saldo, a Milano, anzi in Italia, dove i compagni, almeno nell' ambito della editoria, seguitavano a dettare legge, esercitando ostracismo nei confronti di coloro che non avevano simpatia per l' orda rossa. Giorgio Fattori, presidente della casa editrice (proprietaria altresì del Corriere della Sera) mi incitò a resistere e gli diedi retta, finché i vergini di sinistra, stanchi di non ricevere lo stipendio, mi accolsero, sia pur malvolentieri, quale direttore, cosicché cominciammo a lavorare e ad andare in stampa con un prodotto decente che ebbe in edicola un buon successo. Nel giro di un paio di anni, raddoppiammo le vendite mettendo al sicuro la vita del settimanale. Tuttavia quella banda di comunisti mi aveva talmente disgustato che non appena mi fu offerto di prendere in mano l'Indipendente, quotidiano nuovo e già moribondo, accettai di buon grado. Nel frattempo il segretario del Pci, Achille Occhetto, cambiò denominazione al partito, sconfessando la tradizione marxista, compiendo cioè una operazione ai limiti del ridicolo, come se il Papa all'Angelus avesse detto al folto pubblico di piazza San Pietro: cari fedeli devo informarvi che Dio non esiste, concludendo il suo discorso facendo alla folla il gesto dell'ombrello. Paradossale. Ciononostante l'ex Partito comunista è ancora qui con i propri rimasugli a menare il can per l'aia. E finge di festeggiare la caduta di quel muro schifoso sotto le cui macerie esso è idealmente morto. di Vittorio Feltri

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