L’ultimo tradimento delle élite, per dirla con Christopher Lasch, rischia anche di essere quello definitivo. Ciò che buona parte della classe dirigente eurocratica (europea sarebbe troppo nobilitante, rimanda troppo alla storia e troppo poco alla burocrazia) sta allestendo, perfino con una certa spensieratezza, è un testacoda geografico che è anche un rivolgimento valoriale. Barra a Oriente, è la nuova parola d’ordine. Barra a Oriente contro l’Orco Donald perché gli Stati Uniti (copyright Mario Monti) «non sono più una democrazia liberale».
Là in fondo, estremo Est, spunta il nuovo campione della libertà: Xi Jinping, il capo supremo del più esteso e potente totalitarismo mondiale. Sì, sarebbe un ossimoro nauseante, ma è già realtà da incorniciare, come la prima pagina di Repubblica: “Cina-Ue, asse anti-Trump”. Quel titolo non è un’iperbole, lo vedevi rispecchiato nel sorriso del premier spagnolo Pedro Sanchez in visita nella capitale cinese, mentre Xi gli diceva che il Celeste Impero e l’Unione Europea “dovrebbero resistere insieme alle prepotenze unilaterali” e al “bullismo” americano. Costui rappresenta il vertice di un regime che mantiene attivi circa 1400 laogai, ovvero campi di concentramento in cui la quotidianità è un inferno terreno di denutrizione, tortura e sedute post (?) maoiste di “autocritica”. Ma non è un tema che penetra nelle tendenze, mentali e social, delle anime belle nostrane, sempre pronte a incendiarsi appena Trump espelle qualche membro di qualche gang sudamericana, magari perfino mettendogli le manette ai polsi.
Il gol di Giorgetti e la sfida Trump-Xi Jinping
L’Italia è una nave più solida che attraversa un mare in tempesta. L’innalzamento del nostro r...È un doppiopesismo della cronaca ormai incarognito in strabismo morale, l’anomalia programmatica costituita da The Donald ha risdoganato il cronico antiamericanismo dell’establishment progressista e tecnocratico di Bruxelles. Xi lo sa e intuisce che può abdicare del tutto al principio della verosimiglianza, può evocare quest’inedito asse sino-europeo in nome della difesa del “processo di globalizzazione economica”. Nella sua lingua significa: del meccanismo dorato della concorrenza sleale, con cui ha de-industrializzato larghi strati d’Occidente ed è diventato la fabbrica del mondo, una fabbrica edificata sull’assenza di qualunque parvenza di diritto (men che meno del lavoro). Ma i suoi interlocutori del Vecchio Continente se la bevono, sono pronti a trangugiarsi anche il Partito Unico e la frana delle poche filiere produttive che gli restano, l’importante è rivoltarsi contro il Puzzone d’Oltreoceano. Ecco allora che il South China Morning Post svela come a luglio sia previsto un pellegrinaggio a Pechino di Ursula Von der Leyen e del presidente del Consiglio europeo Antonio Costa (anticipati a giugno dalla presidente della Bce Christine Lagarde, è una vera e propria corsa all’accreditamento). L’agenda, anticipata in una conversazione tra la presidente della Commissione e il premier cinese Li Qiang, verterà sulla necessità di sostenere “un sistema commerciale mondiale libero, equo e con condizioni di parità”.
Commercio e sicurezza nazionale, perché il Dragone è un pericolo
La guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti si stringe come una tenaglia sulla manifattura italiana ed europea. In prim...Con la Cina, l’attore protagonista del brutto film della globalizzazione asimmetrica: ormai è neolingua, siamo all’orwelliano “la libertà è schiavitù”. Soprattutto, si approssima il tradimento definitivo. Di fronte alla trappola di Tucidide che si stringe, quella dinamica ineluttabile della Storia che porta la potenza in ascesa e la potenza dominante alla collisione per la nuova egemonia, l’ignava élite europea rischia seriamente di scegliere il Dragone contro l’Aquila, il totalitarismo contro la democrazia, il comunismo contro la libertà. La quale poi sarebbe l’essenza di quell’avventura plurisecolare che è l’Europa, ma chissenefrega, intanto abbiamo sghambettato Donald Trump.