Per carità, i dazi non sono belli. Soprattutto quando non vengono usati per difendersi da dumping o concorrenza sleale. Come diceva giustamente Ronald Reagan, che gli antitrumpiani dalla faccia di bronzo stanno celebrando in questi giorni dopo avergliene dette per decenni di tutti i colori, le tariffe doganali danneggiano tutti i Paesi coinvolti perché drogano l’efficienza e la competitività delle imprese. Bene. Ora, lasciamo stare che il grande statista si riferiva all’esperienza della Grande depressione degli anni 30 e che con il suo mostruoso taglio di tasse alle imprese non aveva bisogno di dazi, perché nessuno voleva andare a produrre da altre parti.
Occupiamoci piuttosto dell’Unione europea, dove è scattato un’ondata di panico misto ad odio per il tycoon d’Oltreoceano. Siamo proprio sicuri che siano i dazi il problema del Vecchio continente? No, perché sembra di ricordare che, ad esempio, la crisi della manifattura europea e in particolare dell’automotive sia iniziata ben prima del ritorno di Trump alla Casa Bianca. E il tracollo della Germania? È forse colpa della guerra commerciale innescata dal presidente Usa. Poi ci sarebbe il problema della perdita di competitività delle imprese.
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"Ci sottovalutano", ha risposto Donald Trump a chi prevedeva un passo indietro rapido della Casa Bianca sui da...Le pesanti accuse di Mario Draghi a Bruxelles contenute nel suo rapporto sono state presentate all’Europarlamento lo scorso settembre, ancor prima delle elezioni negli Usa.Forse ricordiamo male, ma in quell’occasione ci sembra che l’ex premier abbia snocciolato le clamorose cifre dell’Fmi che poi riempirono le pagine dei giornali e sono state recentemente riprese anche dalla presidente Ursula von der Leyen: le barriere interne all’Ue sono equivalenti a dazi del 45% per il settore manifatturiero e del 110% per i servizi.
Ma ragioniamo un po’ sui numeri. Per ora l’impatto stimato dei terribili dazi sull’economia europea è stimato nello 0,3% del Pil. Il che significa, euro più euro meno, una cinquantina di miliardi. La percentuale potrebbe essere sottostimata, anche di tanto. Deutsche Bank, ad esempio, parla di un possibile effetto fino allo 0,7%, che vuol dire circa 120 miliardi. Adesso confrontiamo queste cifre con i costi di quello che si è rivelato il più grandioso boomerang mai lanciato nella storia: il green deal europeo. Solo per la direttiva case green, e solo per l’Italia, dove c’è un’alta percentuale di immobili con bassa classe energetica, i costi degli adeguamenti alle normative Ue sono stimati da Deloitte tra gli 800 e i mille miliardi. Poi c’è l’auto, il cui tracollo è sotto gli occhi di tutti.
Gli oneri per il passaggio all’elettrico sono stati quantificati dall’Acea (l’associazione dei costruttori Ue) in 3.500 miliardi, con il simpatico effetto collaterale di 270mila posti di lavoro a rischio, di cui 70mila in Italia. Non è finita. Secondo Confindustria la transizione ecologica che prevede il taglio delle emissioni di Co2 del 90% entro il 2040 costerà alle imprese italiane 1.100 miliardi nei prossimi dieci anni. Ad impressionare è però il calcolo complessivo. Che ovviamente non tiene conto di tutti gli effetti indiretti, della distorsione del mercato, della perdita di competitività delle nostre imprese rispetto a quelle del resto del mondo (la Cina, tanto per fare un esempio, alimenta le sue imprese con energia che per il 70% arriva dal carbone, assai inquinante ma assai economico).
Ebbene, secondo le stime di Bruxelles, che promuovendo il progetto non ha alcun interesse ha gonfiare il conto, il green deal costa circa 1.285 miliardi l’anno, ovvero l’8% del Pil (ricordate lo striminzito zero virgola provocato dai dazi?). E la spesa salirà da 1.500-1.600 miliardi l’anno tra il 2030 e il 2050. La previsione più catastrofica, però, è anche quella meno sospetta, perché arriva dall’Institut Rousseau, un think tank francese schierato a testa bassa contro il cambiamento climatico. Secondo gli studiosi d’Oltralpe per decarbonizzare l’Europa servono addirittura 40mila miliardi da qui al 2050. Il tutto per intervenire sul 7% delle emissioni globali, che sono quelle prodotte dalle Ue. Peggio i dazi o il green deal?