Scordamaglia: "L'Europa deve sedersi al tavolo con Trump"

L'ad di Filiera Italia Luigi Scordamaglia: "Reagire alle tariffe Usa minacciando contromisure non porterà benefici a nessuno"
di Michele Zaccardilunedì 7 aprile 2025
Scordamaglia: "L'Europa deve sedersi al tavolo con Trump"
4' di lettura

«Rispondere a Trump con toni trumpiani non porterà benefici a nessuno». Lungi dal sottovalutare gli effetti nefasti dei dazi sulle economie europee, Luigi Scordamaglia ci tiene però a puntualizzare che le conseguenze saranno tanto più perniciose quanto più l’Europa si lascerà andare a reazioni scomposte. Dovendo, per esigenze di consenso interno, fare la faccia feroce, l’Ue rischia infatti di andare a sbattere.

Ma al di là delle probabili ritorsioni, il punto è anche nella narrazione. Perché, spiega a Libero l’ad di Filiera Italia, «questa corsa alla denuncia dei danni enormi derivanti dai dazi varati dall’amministrazione Usa può innescare una spirale di panico controproducente. E generare una reazione negativa da parte degli importatori americani di food & beverage italiano, amplificando così l’effetto che Trump ha voluto dare con il suo annuncio».

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Insomma, stiamo facendo il suo gioco.  
«Nessuno intende minimizzare l’impatto di dazi aggiuntivi al 20%, ma come Europa dobbiamo mantenere la calma. Nell’attesa che gli effetti negativi sui consumatori, sui produttori e sulla finanza statunitense portino a più miti consigli l’amministrazione Trump, occorre continuare a negoziare, cercando di ridurre la portata delle tariffe. Reagire minacciando dazi doppi o tripli, o tassazioni alle imprese americane, non porterebbe vantaggi a nessuno». 
C’è chi propone di trovare nuovi sbocchi per le nostre merci in modo da sostituire, almeno in parte, il mercato americano. Cosa ne pensa? 
«È una sciocchezza. Leggo di “esperti di macroeconomia” che invitano a guardare alla Cina, senza sapere che sono anni che abbiamo difficoltà a penetrare in quel mercato e che le esportazioni agroalimentari non raggiungono neanche un decimo di quanto pesano gli Stati Uniti. Il dato di fatto è che i quattordici Paesi cosiddetti “Grow”, ovvero quelli più promettenti per il nostro export, valgono complessivamente per tutti i settori produttivi italiani 77 miliardi di euro, mentre da solo il mercato americano ne vale 67». 
Si parla pure dei benefici derivanti dal trattato di libero scambio con il Sudamerica.
«Credere di poter rimpiazzare il mercato statunitense attraverso l’accordo tra Ue e Mercosur è un’ipotesi ancora più folle. Basti pensare che dalla sottoscrizione del trattato si stima un aumento delle esportazioni di 5/6 miliardi di euro per tutti i comparti produttivi italiani. Mentre solo per l’agroalimentare il mercato americano vale quasi 8 miliardi». 
L’Italia dovrebbe trattare in autonomia con gli Stati Uniti per spuntare condizioni migliori? 
«L’Europa deve reagire unita. Trump ha introdotto un dazio trasversale, uguale per tutti gli Stati membri. Non ha colpito singoli prodotti o settori, cosa che avrebbe determinato un diverso impatto sui Paesi. L’Italia avrà un ruolo fondamentale nel definire la strategia della risposta comune per evitare spinte bellicistiche o dichiarazioni roboanti. Insomma, il nostro Paese deve dire all’Ue: “Siediti e tratta”».
La parola d’ordine è dunque “trattare”?
«L’Europa ha due obblighi verso le aziende e i consumatori. Il primo è negoziare con gli Usa, ricordando ad esempio che in campo agricolo c’è già una buona sinergia. È vero che esportiamo prodotti di qualità ad alto valore aggiunto, ma è altrettanto vero che importiamo prodotti agricoli che poi trasformiamo».
E il secondo obbligo?
«Il dovere principale dell’Europa è liberare le imprese da tutti quei lacci burocratici e regolatori che hanno portato allo smantellamento di molte delle nostre filiere produttive negli ultimi anni. Bisogna, da subito, reintrodurre per il settore dell’automotive il principio della neutralità tecnologica, grazie al quale potremmo tagliare le emissioni ma non i posti di lavoro, puntando ad esempio sui biocarburanti di cui siamo leader al mondo. E poi rivedere una volta per tutte quel Green Deal il cui unico risultato sarebbe quello di trasformare l’Europa da polo manifatturiero globale a passivo mercato di puro consumo, dipendente da altri Paesi per l’approvvigionamento energetico, alimentare e tecnologico. È stato calcolato che la burocrazia europea incatena le nostre aziende come un dazio, non del 20%, ma del 45%. Cominciamo allora a intervenire su questo aspetto e a rimuovere tutti gli approcci ideologici e anti-produttivi: la sveglia di Trump ci sarà almeno servita ad imparare qualcosa».
E sul fronte del sostegno alle imprese? 
«L’Europa deve supportare concretamente quelle filiere che sono danneggiate dai dazi, prendendo spunto da quanto fatto dallo stesso Trump nel 2019. Per placare le proteste degli agricoltori americani danneggiati dalle contromisure in risposta alle tariffe imposte da Washington, il presidente americano stanziò in un solo anno 23 miliardi di dollari per le compensazioni. Da noi, la Commissione Ue ha promesso un’elemosina di un miliardo di euro, da dividere tra 27 Paesi, agli agricoltori danneggiati dall’eventuale sottoscrizione dell’accordo Mercosur».
E poi?
«Invece di continuare a sparare cifre al rialzo sui danni che avremo, facendo felice Trump, sarebbe forse meglio aumentare i fondi per la promozione dei nostri prodotti all’estero. E raccontare in giro per il mondo, e negli stessi Stati Uniti, i vantaggi enormi e il valore differenziale che hanno rispetto ai prodotti Italian Sounding. A cominciare dal nostro straordinario vino. Sfruttiamo l’occasione del Vinitaly, che comincerà oggi a Verona, affinché ai massimi livelli europei se ne parli bene invece di farci del male da soli confondendo consumo consapevole di qualità con abuso di prodotti che non ci appartengono».