
L'Ue cambia rotta: gli immigrati irregolari saranno trasferiti negli Stati extraeuropei

Il piano per i rimpatri degli immigrati irregolari presentato ieri dalla Commissione Ue non è la trasposizione in sede europea della “operazione Albania” concordata da Giorgia Meloni ed Edi Rama. Però la famosa «esternalizzazione» condannata dalle ong e dalla sinistra italiana c’è, gli hub nei Paesi terzi sono previsti, anche se con una funzione diversa, e le nuove norme sono un passo avanti nella direzione chiesta dal governo italiano (e non solo). Tutto questo all’interno di un regolamento Ue, cioè di un testo che, una volta approvato, sarà direttamente applicabile in tutti gli Stati dell’Unione, senza bisogno che questi lo recepiscano negli ordinamenti nazionali. Le cose stanno cambiando, insomma.
La differenza tra il modello italiano e quello previsto dall’esecutivo di Ursula von der Leyen la illustra l’austriaco Magnus Brunner, commissario per gli Affari interni e le migrazioni. Quelli disciplinati nel regolamento Ue presentato ieri, spiega, sono «return hubs», centri per i rimpatri, che riguarderanno «i migranti a cui è stato rifiutato l’asilo o che hanno già avuto un ordine di espulsione». Sono quindi «completamente diversi» dai centri italiani in Albania, costruiti per trattenere i richiedenti asilo, migranti per i quali non è stato deciso se avranno diritto a rimanere o no nel territorio Ue. Questi nuovi hub potranno essere creati in Paesi extra-Ue con cui l’Unione o uno dei suoi Stati ha concluso un accordo e che rispettano i diritti umani: a vigilare su questo aspetto provvederanno anche organismi internazionali. I minori non accompagnati e le famiglie con bambini saranno comunque esclusi dal trasferimento negli hub di rimpatrio. L’Italia, se lo vorrà e se il governo di Tirana sarà d’accordo, potrà convertire in hub per i rimpatri le strutture già costruite in Albania, ma solo dopo che il nuovo regolamento europeo sarà stato approvato. La commissione Ue, comunque, non esclude di imitare in futuro il modello già concordato tra Italia e Albania. «Guardiamo a tutte le soluzioni innovative, lo facciamo con mente aperta», assicura infatti Brunner. «Diamo un’occhiata, vediamo se funzionano o meno. Se funzionano, funzionano».
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La proposta di regolamento presentata ieri prevede anche l’introduzione dell’Ordine di rimpatrio europeo, che rende la decisione eseguibile in ogni Paese Ue. È lo strumento con cui si vuole rimediare all’attuale frammentazione, che contribuisce a rendere inefficaci le procedure. Oggi «quattro persone su cinque con un ordine di rimpatrio restano nell’Unione europea», fa presente Brunner, e questo «non è accettabile». Sarà data priorità ai rimpatri volontari, che verranno incentivati economicamente, ma nei casi di mancata cooperazione dei migranti, fuga in altri Stati Ue, mancato rispetto dei termini o rischio per la sicurezza, sarà applicato il rimpatrio forzato. L’introduzione del piano è prevista per il luglio del 2027. I Conservatori europei festeggiano l’incasso di una riforma comunque modellata sull’esempio italiano. Alessandro Ciriani, eurodeputato di Fdi, apprezza che la Commissione consenta di creare hub di rimpatrio nei Paesi terzi, poiché «sono fondamentali per garantire procedure rapide ed efficaci. Un sistema strutturato che assicuri il rispetto delle regole e impedisca che chi arriva illegalmente possa sottrarsi ai rimpatri è indispensabile. Non sorprende che la sinistra europea si opponga». E siccome la partita è appena iniziata e il processo legislativo europeo è complesso, l’impegno, ora, è di battersi «affinché il testo mantenga la sua efficacia».
Dall’altra parte dell’emiciclo, il piddino Alessandro Zan bolla il progetto della Commissione come «inumano» e fa una promessa di segno opposto: «Continueremo a opporci a centri di deportazione in Paesi terzi che negano diritti basilari». Il Ppe, primo partito del parlamento Ue, su questo tema parla però la stessa lingua dei partiti di destra: insieme, sulla carta, hanno i numeri per imporsi. Anche a sinistra, peraltro, chi ha responsabilità di governo guarda con favore al nuovo piano. Lo si è visto anche ieri a palazzo Chigi. Meloni ha incontrato la premier della Danimarca, Mette Frederiksen. Costei è socialista e appartiene allo stesso partito Ue del Pd, ma condivide l’approccio italiano all’immigrazione. «Abbiamo una cooperazione molto stretta in quest’area», ha detto Frederiksen ai cronisti al termine del colloquio. «Anche se siamo Paesi molto diversi e apparteniamo a famiglie politiche diverse, siamo allineati sul bisogno di controllare i nostri confini e di essere in grado di rimpatriare chi entra in Italia e Danimarca e commette crimini». Meloni ricambia. Conferma di apprezzare «la proficua collaborazione in materia di contrasto alla migrazione irregolare» e ringrazia la premier danese «per il lavoro congiunto sulla ricerca di soluzioni innovative». In cima alle quali c’è proprio l’apertura di hub nei Paesi extra-Ue, che la Danimarca, assieme all’Italia e altri sette Stati, ha già indicato come «un possibile deterrente per la migrazione irregolare».
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