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L'Ue si contraddice: non è uno Stato ma pretende di avere un esercito comune

Gianluigi Paragone
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«Spese militari fuori dal patto di stabilità». Lo ha annunciato la presidente della Commissione Ue Ursula Von Der Leyen cercando di tenere in equilibrio due grandi questioni che espongono la Ue al pressing americano: dazi e Ucraina. Intanto per prima cosa mi verrebbe da domandare se non sia il caso di rivedere a questo punto anche l’impianto delle norme di bilancio, la filosofia rigorista che ne sorregge il peso: se le spese militari possono stare fuori dal patto, forse potremmo anche rileggere il con« cetto di “aiuti di Stato” e degli stessi parametri, non fosse altro per le difficoltà che i “cigni neri” hanno generato sull’economia reale.
Ma torniamo all’urgenza delle “spese militari”: è solo una modalità per ammorbidire le posizioni di Trump circa i dazi, nel tentativo di riequilibrare la bilancia commerciale con gli Stati Uniti? O è l’avvio di una nuova postura che l’Europa si dà in tema di difesa? O sono entrambe le cose? Forse sono entrambe le questioni e, comunque, rivelano il peso politico della Ue: scarso, irrilevante. Persino contraddittorio.

Per prima cosa, l’Europa ammette che c’è uno squilibrio della bilancia commerciale e gli Stati Uniti hanno ragione ad alzare la voce, soprattutto perché la questione non è di oggi e Bruxelles aveva già fatto orecchie da mercante, lasciando briglia sciolta alla Germania colpevole negli anni indietro di violare le regole sul surplus commerciale. In seconda battuta, nell’individuare i due “prodotti” da comprare si focalizza su energia e armi, che non sono esattamente due cosette da niente. L’energia è il più evidente tallone di Achille dell’economia europea; le armi materializzano uno dei più grandi equivoci della stessa costruzione europeista.
Arriviamo così al punto: «L’Europa deve dotarsi di un esercito». Come ho scritto nel mio libro “Maledetta Europa”, sostenere una frase del genere apre il vado di Pandora. Perché finora l’Europa non ha voluto un esercito?

 

 

E perché adesso lo vuole? Sarebbe interessante se, nell’analizzare la torsione discussione, si avesse il coraggio di ammettere una opzione di conclusione e cioè se la Ue sia un progetto in via di fallimento. La domanda “scacco al re” è la seguente: se l’Europa non è uno Stato come si configura un suo esercito? Che idea di difesa può avere un “non Stato”? L’Europa si disinteressò al tema della difesa perché rinunciò alla edificazione politica, sostituendola con quella monetaria: l’euro sineddoche dell’Europa stessa. L’Europa insomma aveva deciso di giocare la sua partita non con la “spada” sul terreno politico del “limes” ma su quello finanziario, scommettendo sulla globalizzazione e sull’azzeramento dei confini.

Invece la Storia ha ripreso a marciare con gli scarponi degli eserciti a difesa dei confini, i quali entrano pure nella dimensione economica attraverso i dazi. In questo contesto ora l’Europa deve recuperare sul terreno della politica, usando la “spada” come usarono la moneta. Ma se per l’euro la narrazione fu facile (nessun cambio quando si passa da una nazione a un’altra: concetto pratico perfetto per plasmare la nuova generazione europea e non nazionalista), come la mettiamo con l’esercito, cioè con le armi, e quindi con le guerre che tornano a sfiorare i nostri confini? E, infine, gli europei saranno chiamati a esprimersi oppure sarà ancora un tema troppo complicato per essere sottoposto alla democrazia? 

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