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La Ue? Prima di pensare ai dazi faccia mea culpa sul Green Deal

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Gianluigi Paragone
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Prima di avventurarsi in guerre commerciali e di dare operatività al comitato ristretto che la Von Der Leyen avrebbe predisposto all’interno della sua presidenza, la Commissione europea dovrebbe cominciare a considerare i danni che hanno combinato prima gli annunci e poi le varie norme sulla transizione ecologica in ogni loro aspetto.

Non è un mistero infatti che dalle case green alle auto elettriche, la eco-rivoluzione tanto cara all’olandese Frans Timmermans ha creato danni enormi alle filiere industriali interessate, con esposizioni bancarie importanti e soprattutto con pesanti piani di licenziamento sul fronte di chi non riusciva a stare dietro alla concorrenza cinese, principale beneficiario del passaggio all’elettrico. Ma non si possono escludere tanti altri comparti su cui si è abbattuta la mannaia di Bruxelles, per esempio le fabbriche di imballaggi nel settore alimentare, segmento dove l’Italia era riuscita a posizionarsi su livelli di grandissima qualità proprio combinando le politiche sul riciclaggio dei materiali e i parametri di massima sicurezza per il consumatore.

 

E che dire delle filiere agroalimentari messe nel mirino dalla scorsa Commissione tanto affascinata dai cibi “sintetici” o dai sempre più incomprensibili via libera come quelli per le farine d’insetti, grilli e via elencando? Tutte decisioni immediatamente impopolari in quasi tutta Europa visto il fallimento elettorale dei partiti che le avevano pienamente sostenute, tanto che - si è scoperto recentemente - la Commissione ha dovuto pagare delle ong operative nel campo dell’ecosostenibilità fior di soldi affinché conducessero campagne ad hoc sia all’interno del parlamento europeo sia con iniziative popolari di sensibilizzazione.

Per fortuna qualcosa sta cambiando e se la presa si è allentata consentendo quindi alle industrie di non cappottare definitivamente (ma ripeto, le gelate occupazionali ci sono state e non sono affatto risolte) è perché nella nuova Commissione il peso dei governi di centrodestra, soprattutto quello italiano, si sta facendo sentite. Pertanto le discussioni sui dazi e sulle “guerre commerciali” dovrebbero quantomeno essere anticipate dalla presa d’atto di cosa l’Europa ha combinato in casa propria e per colpe proprie. Non è tutto. Continuare a chiedere, come fa la sinistra, a Giorgia Meloni di scegliere da che parte stare è ipocrita, quasi ridicolo: senti chi parla, verrebbe da dire.

La discussione sui dazi è una discussione ben più articolata, fatta anche di quel peso politico che è “l’effetto annuncio” come strumento di pressione. Lo dimostra il cedimento di Canada e Messico su quanto richiesto da Trump in tema di immigrazione e contrasto alla micidiale droga sintetica Fentanyl. Ma lo dimostra anche il dibattito appena avviato in Europa sulla “lista della spesa” dei prodotti americani da importare al fine di riequilibrare la bilancia commerciale con gli States, motivo del pressing impartito dal presidente americano. Il quale già nel 2018 predispose un pacchetto di misure protezionistiche che Biden non toccò minimamente.

 

 

 

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