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Caso Timmermans, come fidarsi dell'Ue dopo le pressioni delle lobby pro-green?

Gianluigi Paragone
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Quelloche ha denunciato il quotidiano olandese Der Telegraaf e cioé che la Commissione europea avrebbe pagato alcune associazioni ambientaliste per spingere il Green Deal mi spiazza ben poco.

Del resto l’andazzo nella prima gestione Von Der Leyen mi sembrava già chiaro con la condanna, da parte della giustizia europea, della presidente e di tutto il suo carrozzone circa la mancanza di trasparenza sulla gestione dei contratti per l’acquisto dei vaccini: allora era la segretezza assoluta sui contratti, sulle cifre e sugli sms tra Ursula e il capo della Pfizer Albert Bourla; ora è questa modalità denunciata dal Telegraaf per cui il “governo” europeo avrebbe utilizzato fondi non per una comunicazione istituzionale ma per un “pressing” gestito da una rete di organizzazioni non governative ecologiste al fine di promuovere le (strampalate) idee proprio dell’ex commissario olandese nonché vice presidente con delega alla transizione Frans Timmermans.

A onor di cronaca va ricordato che le idee di questo barbuto signore erano talmente poco popolari e di scarso appeal che quando si dimise anticipatamente dall’Europa per correre come premier in Olanda (convinto di vincere) prese una scoppola così forte che è ancora là che gira. Frans perse mentre quelli che demolivano il green deal vincevano.

In attesa di conoscere quali saranno gli sviluppi di tale inchiesta giornalistica, sul piano politico possiamo già dire alcune cose. Innanzitutto a tutti coloro che vendevano l’Europa come virtuosa da sbattere in faccia agli sprechi italiani, oltre alla mai abbastanza ricordata questione che paghiamo due parlamenti, facciamo notare anche questa gestione allegra dei fondi. In questo caso per una transizione che penalizza soprattutto gli italiani, sia in quanto proprietari di immobili sia per tutti i danni che tali agende producono all’agricoltura.

A Bruxelles l’agitazione è alta ma non altissima: così come fecero spallucce sulle accuse di non trasparenza per i vaccini, altrettanto faranno adesso. A maggior ragione visto che la prima agenda green è entrata in crisi di fronte al collasso dell’automotive, di fronte alle accuse di dipendenza che l’elettrico avrebbe creato con la Cina e soprattutto di fronte alla bocciatura da parte di cittadini e operatori di settore.

Detto tutto questo diventa dunque interessante sottolineare l’esborso di denaro pubblico per spingere un cambio di paradigma e poi domandarsi il perché di questa transizione se il mercato non la voleva. Stando a quel che il quotidiano olandese racconta con tanto di riferimenti e prove che dice di avere nel cassetto, la Commissione avrebbe pagato centinaia di migliaia di euro; uno dei contratti riservati con queste ong sarebbe stato di 700mila euro pagati "per orientare il dibattito sull’agricoltura". Scrivono: "per anni la Commissione Ue ha sovvenzionato, tramite il programma Life, una rete di lobby ecologiste per fare pressioni a favore del Green Deal". Non solo. "Alle organizzazioni finanziate da Bruxelles sono stati addirittura assegnati obiettivi precisi di lobbying verso eurodeputati e Paesi membri per accelerare l’attuazione della nuova strategia green".

A questo punto la domanda più interessante è: perché spendere così tanto quando, appunto, i comparti economici erano contrari così pure erano contrari i cittadini? Qualcuno aveva interesse a spingere per le agende green? Fondi finanziari? Multinazionale del food? Chi sta puntando sul cibo sintetico? Non vorremmo far peccato nel pensar male ma mi stupirei ancor meno se un giorno si scoprisse una enorme corruzione a Bruxelles in nome del Green.

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