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Almasri, il libico libero di girare in Europa per 12 giorni: una trappola per l'Italia

Brunella Bolloli
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Era così ricercato, Osama al Njeem Almasri, che per 12 giorni ha potuto viaggiare indisturbato per mezza Europa come un qualsiasi turista: andare al bar, a cena, allo stadio a seguire le partite di calcio, nei negozi a fare shopping e perfino prenotare a proprio nome e in anticipo le camere d’albergo dove soggiornare per le sue vacanze all’estero. Da lunedì 6 gennaio, festa dell’Epifania, fino a sabato 18 l’efferato comandante libico accusato di crimini di guerra e torture nel suo Paese ha potuto muoversi da uomo libero tra Londra (dove è stato una settimana), Bonn, il Belgio, la Germania, con puntate in Svizzera, senza temere conseguenze.

Il tour con gli amici è filato liscio fino a domenica 19 gennaio quando Almasri, nel frattempo giunto in Italia per assistere la sera prima al big match Juventus-Milan, è stato prelevato dall’Holiday Inn di Torino e condotto nel carcere delle Vallette dove è rimasto fino alla scarcerazione avvenuta 96 ore dopo il fermo, con un’ordinanza della Corte d’Appello di Roma.

Già ieri Libero ha raccontato tutto ciò che non torna nella vicenda del 45enne raggiunto da un mandato di cattura internazionale emesso dai giudici della Cpi proprio il 18 gennaio in coincidenza cioè con l’arrivo in Italia. Il Foglio ha confermato il giro europeo del libico, il quale a Bonn ha noleggiato una Mercedes con tre connazionali. Si sa inoltre che il 16, nel tragitto per Monaco, il gruppo è stato fermato per un controllo di routine, ma gli agenti tedeschi dicono che è tutto ok: la comitiva prosegue il tour. Le tappe del viaggio sono importanti perché il caso del generale di Tripoli ha riacceso le speranze di quel centrosinistra anti-italiano che tifa per screditare il nostro governo e ora si fa forte della bacchettata inflitta dai giudici (sempre loro) della Corte penale internazionale, i quali attendono spiegazioni dal nostro Paese colpevole, secondo le toghe che perseguono i criminali di guerra, di avere rimpatriato il feroce Almasri senza un’adeguata «consultazione» e in «assenza di preavviso».

 

 

L’accusa, neanche troppo velata, è che l’Italia si sia fatta scappare il feroce direttore del carcere-lager di Mitiga dove Amnesty international e altre Ong da tempo denunciano violenze, stupri e uccisioni. Per l’opposizione «Giorgia Meloni deve andare in Parlamento a riferire subito», il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, si deve dimettere perché «il rilascio è causa sua» e non bastano le spiegazioni del titolare del Viminale, Matteo Piantedosi, che ieri in Senato ha parlato di «motivi di sicurezza» per il rimpatrio del libico a bordo di un Falcon 900. «Era un soggetto pericoloso», ha detto il ministro dell’Interno definendo l’espulsione del 45enne la «misura più appropriata a salvaguardare la sicurezza dello Stato e la tutela dell’ordine pubblico che il governo pone sempre al centro della sua azione». Un’ulteriore informativa di Piantedosi è attesa la prossima settimana.

Intanto, però, le certezze: il curriculum da “macellaio” del direttore della struttura carceraria di Mitiga non è notizia del 18 gennaio. Dal 2 ottobre 2024, infatti, i giudici della Cpi erano in possesso di un corposo dossier su tutte le malefatte di Almasri, conosciuto in patria e fuori per i suoi metodi. Nel 2011 l’uomo ha fondato la cosiddetta “Rada”, ossia le Forze speciali di deterrenza libiche, una milizia controllata dal ministero dell’Interno del governo di unità nazionale della Libia che svolge operazioni speciali contro il terrorismo e il crimine organizzato. Era noto chi fosse, perché hanno aspettato 108 giorni per far partire il mandato di cattura? Mistero. L’accusa che ora il centrosinistra muove a Palazzo Chigi, sulla scia del documento della Cpi, è che l’Italia abbia dovuto sottomettersi a uno scambio con i miliziani di Tripoli, cioè che dietro al cavillo per cui Almasri è stato scarcerato ci sia stata una volontà politica di favorire i miliziani al quale l’uomo è stato riconsegnato con tanto di aereo di Stato e festeggiamenti sul suolo patrio.

Ma basta guardare i dati dei rimpatri effettuati per motivi di sicurezza dal nostro Paese dal 22 ottobre 2022 al 9 gennaio 2025, vale a dire da quando è cominciata la legislatura, per accorgersi che la narrazione del fu campo largo non regge. Sono ben 182, infatti, i provvedimenti di espulsione di soggetti pericolosi come Almasri, radicalizzati, estremisti o presunti terroristi individuati a seguito di monitoraggio da parte delle nostre forze dell’ordine e dell’intelligence. La maggioranza, inoltre, mette in evidenza la stranezza di un ordine partito dall’Olanda, guarda caso quando il libico aveva appena messo piede in Italia. Il deputato di Fdi Giangiacomo Calovini. capogruppo in commissione Esteri ha annunciato un’interrogazione parlamentare per conoscere «le modalità con cui la Cpi ha operato sul caso Almasri, in merito al quale giova ricordare che la valutazione sull’illegittimità dell’arresto è stata assunta dalla magistratura italiana, autonoma e indipendente dall’esecutivo». E il leghista Igor Iezzi attacca: «Perché Almasri a 150 chilometri dall’Aja non interessava? Perché è diventato un soggetto da fermare soltanto quando è arrivato in Italia?».

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