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Ursula Von der Leyen, la conta dei parlamentari per il bis

Fausto Carioti
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L’ultimo ostacolo deve ancora essere superato. Vale per Ursula von der Leyen, per il meloniano Raffaele Fitto, per la socialista spagnola Teresa Ribera (vicepresidente e commissaria alla Transizione ecologica e alla Concorrenza: la nuova Timmermans è lei) e per tutti gli altri. L’appuntamento è mercoledì 27, alle 12, nell’aula di Strasburgo. I 720 eurodeputati saranno chiamati a votare, a scrutinio palese, la “fiducia” all’esecutivo Ue. Secondo la regola, «il Parlamento elegge o respinge la Commissione a maggioranza dei voti espressi, per appello nominale». Se votassero tutti, l’asticella sarebbe fissata a 361 voti: non facili da raggiungere. La votazione del 28 luglio perla nomina della sola von der Leyen a presidente della Commissione non fa testo.

Quel voto era segreto e l’apertura ai Conservatori (Ecr) di Giorgia Meloni, suggellata dalla nomina di Fitto a vicepresidente esecutivo, non c’era ancora stata. La sinistra credeva nell’esistenza di un «cordone sanitario» attorno a tutti i gruppi a destra del Ppe. La candidata al bis ottenne 401 voti, 40 in più del necessario. Stavolta sarà tutto diverso.

 

 

 

Pesa la nomina di Fitto, fortemente voluta da von der Leyen e dal Ppe; pesano le prime votazioni del nuovo parlamento, in cui i Popolari hanno spesso fatto asse con i gruppi di destra contro Socialisti e Verdi; pesa la guerra che il Partido Popular spagnolo ha fatto a Bruxelles contro Ribera. Per questi motivi non dovrebbero votare in favore della Commissione gli eurodeputati Verdi, 53 in tutto, gran parte dei quali, a luglio, si espressero in favore di von der Leyen, risultando decisivi.

I 3 italiani, eletti nelle liste del partito di Angelo Bonelli, hanno già annunciato voto contrario, gli altri decideranno lunedì. Faranno lo stesso alcune delegazioni dei Socialisti. Quelli francesi (13 eletti) si sono chiamati fuori con toni perentori («Voteremo contro la Commissione»); dovrebbero unirsi a loro i 14 tedeschi della Spd, i 4 olandesi e l’italiano Marco Tarquinio, eletto col Pd.

Anche tra i liberal di Renew Europe c’è chi non ha digerito il cambiamento di rotta. E persino nel Ppe, il partito di von der Leyen, qualcuno scalcia, ma per motivi opposti: i 22 Populares spagnoli faticano a dare voto favorevole a una Commissione in cui la loro rivale Ribera ha un portafoglio tanto importante. Così, ai 401 voti che dovrebbe garantire sulla carta la vecchia maggioranza Ursula, composta da Ppe (188), Socialisti (136) e Renew Europe (77), occorre levarne una cinquantina, probabilmente di più. Voti che non potranno essere compensati da quelli dei Verdi.

 

 

 

Questo ha una conseguenza politica molto importante: la nuova Commissione avrà assoluto bisogno dei voti della destra. Da Ecr ne arriveranno, e non saranno pochi. Voteranno a favore dell’esecutivo Ue i 24 eurodeputati di Fdi e la stessa cosa è previsto che facciano i 5 conservatori cechi, i 3 lettoni e i 3 belgi, ai quali potrebbero aggiungersene altri. Circa 35 europarlamentari, dunque. Che se le cose andassero come sembra, risulterebbero decisivi.

Da destra non dovrebbero arrivare altri voti. Salvini ha ribadito la posizione della Lega: «Fitto è in gamba e ha il sostegno della Lega, ma non daremo carta bianca a von der Leyen». Farà così tutto il gruppo dei Patrioti, al quale appartengono anche Fidesz, il partito di Viktor Orbán, e il Rassemblement National di Marine Le Pen.

Non tutti gli eletti che negheranno la fiducia alla Commissione, però, le voteranno contro. A Bruxelles c’è la convinzione che alcuni di loro, soprattutto dentro Socialisti, Verdi e Renew Europe, sceglieranno di non votare, facendo scendere così il numero dei voti espressi e dunque il quorum necessario alla squadra di von der Leyen per avere il via libera dell’assemblea. Un modo per dichiararsi distanti senza strozzare l’esecutivo nella culla.

 

 

 

Anche per questo, nessuno crede che von der Leyen non ottenga i voti per partire. «Mercoledì la Commissione passa senz’altro», dice Paolo Gentiloni, commissario Ue in uscita. «L’operazione è “too big to fail”», troppo grande per fallire, confermano i Conservatori di Meloni. «In un momento storico come questo sarebbe il suicidio della Ue». Ma una cosa sarebbe farcela avendo comunque la maggioranza del totale degli europarlamentari, cioè 361 voti o più, e un’altra spuntarla solo grazie al non voto dei malpancisti.

Soprattutto, una cosa sarebbe avere la maggioranza con il voto decisivo dei Conservatori, e un’altra – molto diversa – ottenerla senza di loro. Nel primo caso il peso politico di Meloni crescerebbe ulteriormente. È il dramma che in queste ore agita i Verdi e tanti Socialisti: è peggio ingoiare il rospo e dire sì a una Commissione che si è spostata a destra, oppure rifiutarsi di votarla, aiutandola a spostarsi a destra ancora di più?

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