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Sul Pd cala il buio Fitto: l'Ue volta pagina e la sinistra salta in aria

Fausto Carioti
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Raffaele Fitto nella stanza dei bottoni, Fdi nella maggioranza che vota in favore della nuova Commissione, dalla quale resteranno fuori i Verdi e forse più di una delegazione socialista. Pd all’angolo. Non siamo al pieno allineamento col risultato del voto che a giugno ha premiato le destre europee, ma rispetto a ciò che si era visto subito dopo quell’elezione è tutta un’altra Ue.

Per avere un’idea della magnitudo del terremoto politico che ha appena scosso Bruxelles bisogna tornare a giovedì 28 luglio. Quel giorno Ursula von der Leyen fu rieletta presidente della Commissione dagli eurodeputati: ebbe 401 voti, 40 in più della maggioranza necessaria. Greens, il gruppo dei Verdi, votò a favore. «Abbiamo ottenuto impegni sul Green Deal, rendendo l’Ue socialmente più equa e proteggendo la democrazia. Manteniamo l’estrema destra fuori dal potere», spiegarono. Lo scrutinio era segreto, ma almeno 45 di loro dettero la “fiducia” a von der Leyen. In parole povere, i Verdi furono decisivi. I 24 eletti di Fdi si espressero invece contro l’“Ursula bis”, giudicando il suo programma troppo spostato a sinistra, soprattutto a causa dell’insistenza sul Green Deal.

Oggi, 117 giorni dopo, la nuova Commissione non si è ancora insediata, ma la mappa del potere appare già completamente ridisegnata. Fdi ha all’attivo la nomina di Fitto alla vicepresidenza esecutiva, e un rapporto con il Ppe che ha messo radici e dato i primi frutti. È entrata in scena la «maggioranza venezuelana», così chiamata perché il 19 settembre ha riconosciuto Edmundo González legittimo presidente del Venezuela: è composta dal Ppe, dai Conservatori e dalle altre famiglie di destra. La stessa che poi ha stravolto la legge Ue sulla deforestazione.

Si capisce, insomma, perché ieri il verde Angelo Bonelli abbia annunciato l’uscita dei Greens dalla coalizione che sostiene von der Leyen. Il motivo non riguarda solo l’incarico di Fitto, è più profondo: «Si è consentito alla leader della estrema destra, Giorgia Meloni, di diventare l’ago della bilancia in Europa. Hanno ucciso la transizione ecologica e sociale».

Una scelta che ora mette nei guai il Pd, come riconosce Dario Nardella: «Dobbiamo fare ogni sforzo», dice, «per convincere i Verdi e le delegazioni dei Socialisti contrarie a votare. Se il collegio passa con pochi voti di scarto e con il blocco di centrosinistra diviso, facciamo un favore agli antieuropeisti come Patrioti e Conservatori». I Socialisti europei, infatti, si sono spaccati: la posizione ufficiale del gruppo è a favore di von der Leyen, ma i 13 francesi, i 14 tedeschi e i 4 olandesi intendono votare contro.

I dividendi di questo sconquasso li incassa innanzitutto il Ppe, cui appartiene Forza Italia. Tenere i Verdi fuori dall’accordo era uno dei primi obiettivi del suo leader a Bruxelles, il tedesco Manfred Weber, abituato a giocare d’intesa con Antonio Tajani. Un altro obiettivo dei due era aprire le porte a Meloni e ai suoi Conservatori: se Fitto ha avuto quell’incarico, lo deve soprattutto all’appoggio che gli ha dato il Ppe.

I Popolari si collocano così al centro di tutti i possibili giochi. A seconda dei provvedimenti, potranno votare con la vecchia “maggioranza Ursula”, composta da Ppe, Socialisti e dai liberal di Renew Europe, che insieme valgono 401 voti (con i Verdi sarebbero 454).

Oppure con la coalizione “venezuelana”, che sulla carta conta su 377 eurodeputati. In ogni caso più della maggioranza dell’aula, per la quale occorrono 361 voti.
Resta ora da vedere con quali numeri, e con l’appoggio di quali forze, uscirà von der Leyen dall’ultima votazione decisiva, quella dell’assemblea plenaria che si terrà il 27 novembre. Gli eletti di Fdi voteranno a favore, mentre i Socialisti corrono il pericolo di spaccarsi nell’occasione più importante, perdendo così molto del loro peso politico. Stavolta il voto sarà palese, i nuovi rapporti di forza e le lacerazioni saranno esposti alla luce del sole, nessuno potrà fingere che niente sia accaduto.

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