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L'Ue e l'exit strategy dall'Ucraina

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La partita di Bruxelles si è conclusa, i nomi sono andati a dama, Raffaele Fitto sarà commissario e vicepresidente, Giorgia Meloni ha ottenuto una importante vittoria politica di cui beneficerà l’Italia. La premier ha chiuso un’operazione da masterclass: prima ha marcato la distanza dalla vecchia “maggioranza Ursula” (mentre le sinistre e i commentatori “à la page” strillavano in prima pagina che l’Italia era «isolata»), poi ha condotto un duro negoziato, sminando il sabotaggio del Pd (scelta autolesionista, dettata dall’ideologia e da una scarsa conoscenza della nuova mappa globale che sta emergendo) e facendo leva su uno scenario internazionale in profondo e rapido cambiamento (lo shock del voto americano, il trionfo del Maga), infine ha colto il risultato facendo pesare il futuro contributo dei Conservatori europei e i suoi rapporti diretti con i nuovi e potenti protagonisti che stanno per entrare in scena, coltivati nei primi due anni a Palazzo Chigi, è il raccolto di centinaia di ore di volo, incontri bilaterali e vertici internazionali, la semina della presidenza del G7 e del parlare schietto con gli altri leader delle grandi potenze. Sono qualità apprezzate e l’Italia oggi ha molte carte da giocare. Meloni ha lavorato a una trama complessa e ambiziosa. Sarà questa una delle chiavi di interpretazione della legislatura europea, in un passaggio storico che s’annuncia denso di pericoli.

La nuova Commissione Ue deve entrare in azione alla svelta, c’è bisogno di una linea meno ideologica e più pragmatica, in particolare sugli Affari Esteri. Due sono i dossier che hanno bisogno di una nuova dottrina europea: una strategia per frenare e chiudere la guerra in Ucraina (garantendo la sicurezza del fianco orientale dell’Unione); il rapporto con la nuova amministrazione americana, di cui si dicono molte cose a sproposito e altre da mettere alla prova dei fatti (...)

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