Raffaele Fitto, la mossa del Quirinale manda Schlein in tilt: Pd spaccato
L’incontro di Sergio Mattarella con Raffaele Fitto – il secondo in due mesi – non basterà a garantire al ministro la nomina a vicepresidente esecutivo della prossima Commissione europea, ma intanto sconquassa la sinistra. Allarga il solco tra le due anime del Pd: da un lato quella più “istituzionale” e vicina al Quirinale, che ieri ha parlato tramite Paolo Gentiloni, dall’altra quella barricadera e da centro sociale che Elly Schlein ha fatto entrare nella dirigenza. In mezzo c’è lei, la segretaria, che con Mattarella non condivide il rapporto personale che aveva Enrico Letta, ma non può fingere di non vedere quello che il capo dello Stato sta cercando di spiegare a lei e agli leader dell’opposizione. E se Giuseppe Conte, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni possono sventolare la bandiera dei duri e puri che mai accetterebbero l’esponente di una «destra razzista» (Ilaria Salis dixit) alla vicepresidenza della Ue, il discorso è molto più complicato per il Pd.
Che ha, o dovrebbe avere, cultura istituzionale e di governo (dalle sue file, del resto, proviene lo stesso Mattarella). Anche per questo, a pochi dei suoi compagni di partito è piaciuto ciò che ieri ha detto Gentiloni a Bruxelles, nelle vesti di commissario europeo all’Economia. Quando gli è stato chiesto di commentare quello che Giorgia Meloni ripete da mesi, e cioè che Fdi cinque anni fa lo appoggiò nella nomina, vedendo in lui un italiano e non esponente del Pd, Gentiloni non ha avuto problemi a confermare: «Certamente il rappresentante dell’Ecr», la famiglia dei Conservatori alla quale appartiene Fdi, «nella commissione di cui io facevo parte, votò a favore. Credo fosse un fiammingo belga. L’ho visto spesso in questi anni e l’ho ringraziato. È una persona molto seria».
Serietà che ora Meloni spera di vedere ricambiata dal Pd. A maggior ragione dopo i messaggi, per nulla subliminali, che Mattarella – seguendo la tradizione quirinalizia– ha spedito in favore del candidato italiano. Rivolta ai partecipanti a un convegno sull’energia, ieri la premier si è detta «certa che la prossima Commissione sarà più attenta ai bisogni di cittadini e imprese», e anche per questo ha chiesto «il massimo sostegno da parte del sistema Italia, forze politiche comprese, alla conferma della vicepresidenza esecutiva per il commissario Raffaele Fitto». Scomodissima, quindi, la posizione di Schlein. La strada che le indicano Mattarella e Gentiloni è chiara ed è la stessa che prese Meloni un lustro fa, ma la segretaria piddina sa che imboccandola perderebbe consensi nella base orgogliosamente «antifascista» che si è coltivata in questi mesi. Il messaggio del capo dello Stato in ogni caso le è arrivato, tanto che ieri Schlein ha usato parole più caute del solito: «Il problema non è mai stato Fitto e le sue deleghe, questo non l’abbiamo mai detto. Il problema politico lo hanno creato i Popolari, che stanno cercando in parlamento di allargare la maggioranza alla destra». Colpa del leader del Ppe Manfred Weber e di Ursula von der Leyen, insomma.
Ai quali Schlein chiede di rimediare non si capisce in che modo, visto che l’indicazione dei commissari spetta ai loro governi e che l’Italia una vicepresidenza della Commissione l’ha avuta, se non sempre, quasi (Gentiloni è un’eccezione). In ogni caso, assicura, lei avrebbe voluto parlarne giovedì con Meloni: «L’ho chiamata per chiederle perché è da una settimana che mi attribuisce cose che non ho mai fatto e che non ho mai detto. Non mi ha risposto. Perché poche ore dopo doveva andare a fare campagna elettorale a Perugia dicendo che non rispondo». Mentre Schlein prende tempo, e non fa capire se sarebbe favorevole solo al portafoglio che von der Leyen vuole affidare a Fitto (quello per la Coesione e le riforme) o anche alla sua nomina a vicepresidente esecutivo (la differenza è grande), vicino a lei c’è chi spera di vedere il Pd votare in favore del candidato del governo per rubarle voti. Conte sostiene che «se tu proponi Fitto vuol dire che non vuoi bene all’Italia» e il M5S accusa Gentiloni (ieri durissimo contro il Superbonus grillino) di avere «dentro di sé un algoritmo che gli fa dire sciocchezze». La posizione di Avs è quella dell’eurodeputata Salis: «Il minimo sindacale è avere un commissario che non appartenga alla destra incompetente, razzista, asservita alle élites economiche e amica dei magnati come Elon Musk». La nomina di Fitto, in ogni caso, è solo un tassello, per quanto importante, della partita che si sta giocando a Bruxelles per definire i rapporti di forza nella nuova legislatura. Per questo il sottosegretario Alfredo Mantovano dice che «il problema non riguarda soltanto il candidato italiano, ma l’insieme della Commissione». Eppure, aggiunge, «sarebbe molto importante che questo stallo venisse superato», nell’interesse della Ue e degli Stati nazionali, «perché tante decisioni, per esempio quelle sulle migrazioni, devono essere assunte bene e velocemente».