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Ue, la sinistra vuole processare i centri in Albania: il blitz dei Verdi

Pietro De Leo
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Poteva bastare l’interrogazione con cui gli eurodeputati eletti nelle liste del Pd, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra hanno chiesto alla Commissione Europea se intenderà avviare una procedura di infrazione contro l’Italia per l’accordo con l’Albania sui richiedenti asilo? No. Infatti c’è un blitz in corso che dovrebbe aver luogo oggi, giorno in cui si apre la plenaria a Bruxelles. La segretaria generale dei Verdi, Vula Tsetsi, ha chiesto infatti di poter aggiungere un argomento di dibattito e riguarda proprio l’intesa tra Roma e Tirana. «L’obiettivo è quello di fare il processo politico al governo italiano», denuncia a Libero Nicola Procaccini, eurodeputato di Fratelli d’Italia e copresidente del gruppo di Ecr. All’ordine del giorno della plenaria, peraltro, era già previsto che si parlasse di immigrazione. Evidentemente i Verdi hanno voluto inserire questa postilla per ricompattare la sinistra e fare così da volano all’iniziativa assunta dai colleghi italiani degli altri partiti appartenenti al blocco progressista.

Però, non è detto che il blitz riesca, anzi. Perché la proposta di Tsetsi dovrà essere sottoposta a votazione, e quasi sicuramente potrebbe verificarsi un compattamento di tutte le famiglie alternative alla sinistra. Scontato, infatti, il voto contrario dell’Ecr, casa europea della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Così come quello di del Ppe, gruppo cui appartiene Forza Italia e che, per chiara presa di posizione sia della Presidente della Commissione Von der Leyen (esponente dei cristiano democratici tedeschi) che del leader Manfred Weber ha sposato la politica migratoria dell’Italia. Non dovrebbero arrivare sorprese neanche dai Patrioti (contenitore dove c’è la Lega) e da Europa delle Nazioni Sovrane, interpreti della linea dura contro l’immigrazione irregolare. Dunque, salvo sorprese, la sortita dei Verdi europei (che contano quattro rappresentanti italiani, Ignazio Marino, Leoluca Orlando, Benedetta Scuderi, Cristina Guarda) potrebbe addirittura rivelarsi un boomerang per i proponenti e segnare peraltro un compattamento del “centrodestra europeo” al di là dell’assetto classico della maggioranza che sostiene la Commissione.

Poi c’è un’altra questione che collega l’Italia e l’Europa, stavolta in punta di diritto, e riguarda il passaggio interpretativo che ha portato i giudici romani a non convalidare la permanenza degli immigrati irregolari nella struttura albanese. E ruota attorno la lettura della sentenza della Corte di Giustizia Europea dello scorso 4 ottobre, su cui i giudici italiani si sono basati, che riguardava il diniego del rimpatrio di un cittadino moldavo da parte della Repubblica Ceca. Una sentenza che si basa a sua volta su una direttiva, la 32 del 2013, che contiene tra le altre cose, la disciplina sulla designazione dei paesi terzi come “sicuri”. Procaccini spiega ancora: «La Corte di Giustizia Europea non ha affatto detto che la designazione dei Paesi sicuri, verso cui si possono rimpatriare gli immigrati illegali è competenza dell’Unione Europea. Bensì ha ribadito che la competenza spetta agli stati nazionali. Sono i governi nazionali gli unici che hanno la competenza, in base alla direttiva europea numero 32 del 2013, a stabilire se uno stato è sicuro oppure no. Per questo motivo il ministro della Giustizia Carlo Nordio, che è un giurista, riferendosi alla sentenza del Tribunale di Roma che pretende di uniformarsi al giudicato europeo, ha parlato di ‘sentenza abnorme’. La sinistra su tutto questo sta giocando molto, ma è una strumentalizzazione totale, sul punto hanno ragione Nordio e il governo».

 

 

L’articolo 37 della direttiva in questione afferma la potestà normativa dei governi nazionali. «Gli Stati membri - si legge - possono mantenere in vigore o introdurre una normativa che consenta, a norma dell’allegato I, di designare a livello nazionale paesi di origine sicuri ai fini dell’esame delle domande di protezione internazionale». L’allegato 1 della direttiva stabilisce il criterio di Paese sicuro come quello in cui non si praticano «generalmente e costantemente» persecuzioni, torture, o forme di trattamento disumano e degradante. Ora bisognerà capire, dopo la famosa sentenza del 4 ottobre, se anche altri Paesi avranno contraccolpi. E se- come sembra a molti osservatori - anche l’Europa debba correggere i criteri della sua direttiva.

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