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La Cina è vicina: così ha spento il motore ai colossi tedeschi dell'auto

Gianluigi Paragone
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Ci sono due livelli di lettura per comprendere cosa sta accadendo nel mondo dell’automotive: uno è industriale, l’altro è sociale. La questione industriale sta segnando una crisi del settore, accentuata soprattutto dal passaggio all’elettrico. I tedeschi della Volkswagen stanno conoscendo una crisi mai vissuta prima, un vero e proprio trauma: chiudere il primo stabilimento e lasciare a casa i lavoratori è come subire sul ring il primo colpo che apre una ferita; capire cosa succederà dopo non è facile, perché quel sangue che sgorga è un segnale di declino.

La crisi industriale tedesca è la crisi di un modello che non tiene più, è il crepuscolo di una arroganza diventata follia: l’idea del primato dell’industria tedesca e della sua eccellenza tecnologica volge al termine. E i segnali erano tutti evidenti anni fa ma l’innamoramento verso il modello renano offuscavano una lucida analisi.

Due spie rosse su tutte: aver assecondato la previsione (guidata dai vertici della Thyssen-Krupp) che le economie avrebbero fatto a meno dell’acciaio e la scelta di costruire un rapporto privilegiato quasi esclusivo con la Russia sul fronte energetico, un rapporto protratto anche quando Putin aveva già esplicitato il proprio “credo” politico (però il suo gas a basso prezzo faceva comodo a tutti). In più la Germania ha goduto del privilegio di poter incassare per anni il surplus della bilancia commerciale. Insomma, sembrava che tutto fosse destinato alla gloria teutonica.

Invece l’economia globale ha cominciato a girare in un altro senso (prima ancora dell’invasione russa in Ucraina) e soprattutto nell’automotive il paradigma è cambiato inesorabilmente, spostando l’asse sempre di più verso la Cina. Che ha condotto il settore auto (ma non solo, verrebbe da dire) laddove voleva: motore elettrico e software funzionali a una iper connessione, il tutto ben armonizzato da linee di design prese dalle scuole europee.

Da questo punto di vista era tutto già chiaro a chi frequentava i recenti saloni dell’auto in terra d’oriente, specie a Shangai dove gli occhi erano non più per le blasonate auto tedesche o europee (fino ad allora oggetto dei desideri in Cina come nei paesi asiatici emergenti) ma per i brand cinesi e coreani, ormai leader incontrastati nell’elettrico. Basti pensare che in alcune città del Dragone non si fa la ricarica di batteria ma te la sostituiscono direttamente. In Europa le industrie che producono batterie sono già in crisi per il calo di domanda e per gli alti costi energetici. La macchina elettrica qui è non solo “aliena” ma pure troppo cara.

La Volkswagen è in crisi, come in crisi entrarono le grandi case di Detroit e di Torino (le cui parabole industriali restano lucidamente analizzate dal compianto Giuseppe Berta). Questa crisi sconvolgerà il sistema sociale tedesco: le spie del disagio sono ben evidenziate dall’attrattività di AfD tra i giovani e gli operai. Ai quali continuano a narrare il miracolo green ed ecosostenibile, un miracolo troppo costoso per economie in crisi.

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