Mario Draghi, l'allarme: "La Ue rischia di perdere la sua ragione d'essere"
"Ha ritirato fuori il bazooka", Mario Draghi. Il commento di fonti del Ppe mentre l'ex premier presenta il Rapporto sulla competitività redatto dallo stesso ex presidente della Bce fotografa alla perfezione la "drammaticità" dell'evento di Bruxelles. Draghi è stato chiamato dalla presidente della Commissione Ue Ursula Von der Leyen a preparare una sorta di road map per risollevare l'Unione europea in un momento di fortissimo stress "strutturale", con l'Ue in balìa di forze centrifughe, crisi politiche ed economiche e scenari internazionali sempre più incerti.
La situazione, insomma, appare forse leggermente meno "urgente" rispetto al momento di quel celeberrimo "whatever it takes" pronunciato da presidente dell'Eurotower nel 2014, ma più complessa e difficile da sciogliere. "Abbiamo detto molte volte che la crescita sta rallentando da molto tempo nell'Ue, ma lo abbiamo ignorato. Fino a due anni fa non avremmo mai avuto una conversazione del genere perché in genere le cose andavano bene. Ma ora non possiamo più ignorarlo: le condizioni sono cambiate", ha messo subito in chiaro Draghi nella conferenza stampa a Bruxelles. "L'Europa - ha sottolineato ancora l'ex presidente del Consiglio italiano - è un continente in cui i nostri valori l'Unione Europea valorizza la nostra prosperità, equità, libertà, pace e democrazia in un mondo sostenibile. E l'Ue esiste per garantire agli europei che trarranno effettivamente beneficio da questi diritti fondamentali, e se l'Europa non può più fornirli alla sua gente, avrà perso la sua ragione d'essere. I valori che ho menzionato prima, come il clima e la crescita, sono intimamente correlati ai nostri valori fondanti. Ecco perché ciò che stiamo cercando di fare ora diventa esistenziale di per sé, ed è per questo che ci teniamo così tanto, ed è per questo che il rapporto sosterrà ciò che definiscono in un discorso, un cambiamento radicale, che dovrà essere urgente e concreto".
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"Serve - spiega - una politica estera comune per migliorare la catena industriale", compresa quella dell'automotive messa in ginocchio dalla concorrenza cinese in particolare. L'Europa, prosegue, ha tre trasformazioni davanti; "La prima è la necessità di accelerare l'innovazione e trovare nuovi motori di crescita; in secondo luogo, l'Europa deve ridurre i prezzi dell'energia elevati continuando a decarbonizzare e passare a un'economia circolare; in terzo luogo, l'Europa deve reagire a un mondo di geopolitica meno stabile, in cui le dipendenze stanno diventando vulnerabili e non può più fare affidamento sugli altri per la sua sicurezza". Anche per queste regioni "c'è bisogno di un asset comune di finanziamento?".
"Il mercato globale dei minerali critici per la transizione energetica è raddoppiato negli ultimi cinque anni, raggiungendo i 300 miliardi di euro nel 2022. L'accelerazione della diffusione delle tecnologie energetiche pulite sta determinando una crescita della domanda senza precedenti. Dal 2017 al 2022, la domanda globale di litio è triplicata, mentre quella di cobalto è aumentata del 70% e del 40% quella di nichel. Secondo le proiezioni dell'Aie, la domanda di minerali per le tecnologie energetiche pulite dovrebbe crescere di 4-6 volte entro il 2040 - sono quindi i dati snocciolati da Draghi -. Tuttavia, l'offerta è altamente concentrata in pochi fornitori, soprattutto per quanto riguarda la lavorazione e la raffinazione, il che crea due rischi principali per l'Europa. Il primo è la volatilità dei prezzi, che ostacola le decisioni di investimento. Ad esempio, anche se si tratta di un caso estremo, il prezzo del litio è aumentato di dodici volte in due anni prima di crollare di nuovo di oltre l'80%, impedendo l'apertura di miniere competitive nell'Ue. Mentre le scorte di petrolio e lo stoccaggio del gas svolgono un ruolo importante nell'ammortizzare gli shock del mercato energetico, non esiste un equivalente per i minerali critici in caso di forti oscillazioni del mercato".
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Quindi Draghi punta esplicitamente i fari su Pechino. "Il secondo rischio è che le materie prime rare possano essere usati come arma geopolitica, poiché gran parte dell'estrazione e della lavorazione è concentrata in Paesi con cui l'Ue non è strategicamente allineata. Ad esempio, la Cina è il più grande trasformatore di nichel, rame, litio e cobalto, con una quota compresa tra il 35 e il 70% dell'attività di lavorazione, e ha dimostrato di voler usare il suo potere di mercato. Le restrizioni alle esportazioni dal Paese sono cresciute di nove volte tra il 2009 e il 2020. Finora - sottolinea il documento presentato dall'ex presidente della Bce - sono stati fatti pochi progressi nella diversificazione. Rispetto a tre anni fa, la quota dei primi tre produttori per i principali CRM è rimasta invariata o è aumentata ulteriormente".