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Viktor Orban, isolarlo a priori è un errore politico

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Tutto si può dire di Viktor Orban ma non che non sappia leggere la realtà o che non abbia visione. D’altronde, la sua longevità politica, il consenso ampio di cui ancora gode nel suo Paese, stanno a dimostrare la sua indubbia capacità di leadership. Più volte l’Europa politica e istituzionale ha cercato di isolarlo, delegittimarlo, metterlo al bando. Il fatto che sia ancora al suo posto, anche come presidente di turno dell’Unione Europea, la dice lunga sulle sue capacità di resistenza. E forse anche sull’inconsistenza di molte, non dico tutte, le accuse che gli vengono mosse.

Ha destato ugualmente impressione la facilità con cui Orban ha creato recentemente, in pochi giorni, un nuovo gruppo politico europeo, in pratica inglobando il precedente che faceva capo a Marine Le Pen e Matteo Salvini. Ovviamente, la sinistra che dirige le danze a Bruxelles, così come nei media, ha subito parlato, a tal proposito, di una guerra fratricida a destra, nonché di una sconfitta totale di Giorgia Meloni che sarebbe rimasta schiacciata col suo gruppo fra una Europa istituzionale che la terrà fuori da ogni decisione che conta e i “Patrioti” guidati da Orban che più non si sarebbero fidati di lei. Le parole pronunciate ieri dal presidente ungherese davanti ai giornalisti presenti a Cernobbio hanno sconfessato in modo plateale questa narrazione di comodo. Orban ha infatti sottolineato che in questo momento ci sono le condizioni perché Italia ed Ungheria possano «insieme aprire una nuova era».

 

Quello che è stato in passato un rapporto che non ha giocato un ruolo importante nella politica europea, oggi potrebbe essere invece fondamentale per mettere in moto quel processo di cambiamento di cui il nostro continente ha urgente bisogno. D’altronde, che i due Paesi siano i più stabili dell’Unione è un dato di fatto. Una stabilità che risalta ancor più se la si mette a confronto con le convulsioni francesi e tedesche, cioè dei due Paesi attorno al cui asse è sempre ruotata la politica continentale. In questa situazione, la stessa Commissione che sta per insediarsi a Bruxelles, per quanto la mascheri, soffre di una crisi di legittimità che non potrà non farsi sentire. Essa, a ben vedere, è un colosso dai piedi di argilla, perché si appresta a confermare vecchie politiche fallimentari, come quella della transizione green, che la presenza dei verdi in maggioranza porterà forse addirittura a radicalizzare. La Commissione, in sostanza, rinserrando le fila, ha dimostrato di non volere avere in minima considerazione il nuovo sentimento che sembra emergere e farsi strada nella società europea.

«La precedente Commissione europea – ha sottolineato Orban – si è dimostrata fallimentare in termini di competitività dell'economia europea, immigrazione, stop alla guerra». Eppure, ha continuato, «oggi a Bruxelles hanno deciso di creare sostanzialmente la stessa Commissione, quindi anche se penso che le persone possono cambiare e fare meglio di prima, è molto difficile da credere. Lo stesso establishment è ancora lì a Bruxelles. E non è una cosa buona». Come diceva Marx, che su questo punto non aveva torto, le contraddizioni di un sistema sono destinate prima o poi ad esplodere. E a quell’appuntamento, suggerisce Orban, bisogna che ci si faccia trovare preparati, e soprattutto uniti.

 

L’aspetto però a mio avviso più rilevante delle sue parole consiste nella consapevolezza che da esse emerge sul carattere culturale prima che politico della battaglia oggi in corso in Europa (e in tutto l’Occidente). Il futuro dell’Unione concerne cioè, in ultima istanza, il mondo dei valori e delle visioni del mondo, da cui quello economico e anche quello della sicurezzza discendono conseguentemente. «Avere le stesse basi culturali gioca» perciò «un ruolo più importante rispetto al passato». Queste basi sono, per il leader ungherese, «cristiane» (la Meloni, ha tenuto a sottolineare, non è per lui solo una collega politica ma una «sorella cristiana«). Ovviamente il termine va inteso in un senso non confessionale, ma storico e ideale: bisogna rimettere al centro della politica l’individuo, la persona umana, scalzare l’ideologia. Il concetto ha per Orban «un senso politico fondamentale per l'Ungheria ma credo anche per l'Italia e questo aspetto culturale della politica tornerà in Europa come è giusto che sia«. È più di un auspicio. È un un appello che va colto. Ripeto: non si tratta di difendere sempre e comunque Orban e la sua politica. Ma di comprendere che egli, più di altri, colto il punto.

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