Ue, Pavel Durov: l'arresto illiberale del capo di Telegram
La notizia potrebbe scivolare distrattamente fra le tante che i media ci trasmettono ogni giorno, ad ogni ora, rubricata fra i fatti di cronaca. Oppure, potrebbe, dai più accorti, essere catalogata fra i tanti attacchi alla libertà di espressione a cui ci è dato assistere in questo tornante della storia europea. A ben rifletterci, essa è però qualcosa di più: non un semplice momento di una battaglia ormai quotidiana, ma un vero e proprio punto di svolta, un salto di qualità che come tale va denunciato da chi crede ancora nei principi liberali che stanno a fondamento della nostra civiltà. Ci riferiamo all’arresto, avvenuto l’altra sera sulla pista dell’areoporto Le Bourget di Parigi, ove era da poco atterrato col suo jet privato, di Pavel Durov, l’imprenditore franco-russo fondatore e ceo di Telegram.
Su di lui pendeva un mandato di cattura, a cui forse ingenuamente pensava che non si sarebbe mai data attuazione, per essersi rifiutato di “moderare”, in collaborazione col governo francese, la messaggistica che transita sulla sua piattaforma. In questo modo, secondo le autorità, Durov si sarebbe reso complice dei crimini che attraverso di essa i malintenzionati hanno compiuto in questi anni. Che è un po’ come accusare i produttori dei passamontagna, utili nelle traversate alpine, di essere complici dei malviventi che con essi si coprono il volto per non farsi riconoscere durante le rapine.
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L’episodio si collega quasi naturalmente alle reiterate intimidazioni rivolte ad un’altra piattaforma che si sottrae, in nome della libertà di parola, alla cosiddetta “moderazione”, il cui nome classico è semplicemente “censura”: quella X di Elon Musk che si è vista consegnare qualche giorno fa una lettera di avvertimento dal Commissario europeo Breton, un altro francese non certo degno discendente di Voltaire. Nella patria della Rivoluzione borghese, ci si accorge che dover concordare preventivamente con le autorità i contenuti veicolabili sui mezzi di comunicazione è ciò che faceva l’Ancien Régime, contro cui il “terzo stato” insorse ben due secoli e mezzo fa?
Sullo sfondo di queste vicende fa capolino quel Digital Service Act divenuto recentemente legge europea e che è il frutto più pericoloso di questa metamorfosi delle nostre democrazie. Il salto di qualità è dovuto al fatto che, nel caso di Durov, si è passati dalle minacce ai fatti, a dimostrazione che la deriva autoritaria e repressiva delle nostre democrazie non è un’allucinazione di noi liberali.
Il paradosso è che, proprio nel momento in cui la dialettica geopolitica ha ridato attualità e rimesso in campo, ed anzi esteso, quello scontro fra regimi democratici e autocrazie che era stato il leit motiv della Guerra Fredda, le classi dirigenti occidentali non trovano di meglio che contraddire se stesse usando gli stessi strumenti illiberali di controllo e sorveglianza che a parole dicono di combattere. In ciò immemori, più o meno inconsapevolmente, della lezione consegnataci dalla storia, e dai classici stessi del pensiero liberale: la libertà è fine e mezzo allo stesso tempo.
D’altronde, la vicenda dimostra che i classici avevano ragione anche su un altro punto: voler controllare l’attività editoriale, comunque essa si esplichi, può portare solo ad una “verità di Stato”. Essa, per principio, non tollera quel pluralismo delle opinioni a cui mette invece capo la libertà di espressione e che, attraverso i trial end error di popperiana memoria, permette all’umanità di attingere la sola “verità” ad essa consentita, quella che nasce dal confronto e che è sempre parziale e provvisoria.
Ormai è fin tropo evidente che la “tagliola” legale scatta solo a chi ospita voci dissenzienti. Sgradito contemporaneamente alle autorità russe e a quelle occidentali, probabilmente suo malgrado, e forse anche indipendentemente dalle sue intenzioni, Durov assurge perciò a simbolo della battaglia contro il “pensiero unico” che ci si vorrebbe imporre. Battersi per la sua liberazione, e per il chiarimento rapido della sua posizione, è prima di tutto un dovere.
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