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Ue, un'Europa senza leader e distante dal popolo distribuirà poltrone: ma è destinata a fallire

Francesco Carella
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Se mai ce ne fosse stato bisogno la conferma che l’Unione europea si sia trasformata in un’entità del tutto acefala, ovvero senza leader politici autorevoli e privi di un mandato popolare forte intorno al quale costruire progetti di lunga durata, è arrivata puntuale nel dopo voto del giugno scorso. Per dirla ancora meglio, l’asse franco-tedesco che per decenni, in un modo o in un altro, aveva tenuto le maggiori leve del potere europeo nelle proprie mani oggi è a dir poco in frantumi.

I due leader, Emmanuel Macron e Olaf Scholz, di fatto sono stati fortemente ridimensionati. Purtuttavia, continuano a muoversi a Bruxelles come se nulla fosse accaduto, ignorando il responso delle urne e la domanda di cambiamento espressa con forza dai cittadini elettori. Seguendo il classico canone del trasformismo hanno bussato alle porte del gruppo dei Verdi in Parlamento, per riuscire a rieleggere quale presidente della Commissione Ursula von der Leyen alla quale, peraltro, hanno inviato messaggi “precisi” circa cinquanta franchi tiratori del suo schieramento.

 

 

Il problema che ora si pone è se una maggioranza, le cui faglie interne sono ormai di una evidenza palmare, possa essere in grado di realizzare tutte quelle robuste indicazioni trasformative pensate da Mario Draghi (committente von der Leyen) in “An industial strategy for Europe”. In primo luogo, ci si riferisce alle riforme proposte che prevedono di dotare l’Unione di tutti gli strumenti per consentire un cammino razionale verso una piena autonomia, sottraendo ulteriore spazi decisionali ai singoli Paesi aderenti.

Non occorre possedere la sfera di cristallo per prevedere che i gruppi conservatori e sovranisti, premiati dal voto del giugno scorso, utilizzeranno il loro accresciuto consenso per contrastare con forza tali cambiamenti che vanno giusto nella direzione opposta alle richieste avanzate dagli elettori. Ma non solo.

Ursula von der Leyen dovrà stare sul chi vive anche rispetto agli stessi Popolari, i quali a parte la disponibilità (tutta da verificare) ad impegnarsi per compensare i ritardi relativi all’industria militare europea, non hanno manifestato un particolare entusiasmo nel prevedere un rafforzamento delle competenze di Bruxelles a partire dall’emissione del debito comune. Se queste sono le premesse, il futuro della macchina europea sarà sotto il segno dell’impasse.

Né le cose si presentano sotto auspici migliori se la riflessione si sposta sul terreno internazionale dove è sempre più chiaro che ciascun attore reciti un copione differente. Si pensi solo a ciò che potrebbe accadere dopo il voto per eleggere il nuovo inquilino della Casa Bianca il prossimo 5 novembre.
Il probabile ritorno a Washington di Donald Trump introdurrà in Europa un ulteriore elemento di divisività.

Alla luce di tali considerazioni è davvero difficile pensare a una legislatura che sia in grado di affrontare tutti i nodi politici ed economici analizzati dal progetto elaborato da Mario Draghi. Con i trasformismi si possono occupare poltrone e accumulare potere, ma la storia insegna che con esso non si fanno grandi trasformazioni. «Per andare oltre», ha scritto Norberto Dilmore su Il Mulino online «ci vorrebbero attori politici forti supportati da un robusto mandato popolare e capaci di mobilitare il consenso intorno al progetto europeo, ma non ci sono». Meglio dirsi la verità, il fallimento è dietro l’angolo.

 

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