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Ue, Meloni denuncia le ingerenze: il Pd tesse intese anti-italiane

Fausto Carioti
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Non farò a nessuno quello che altri hanno fatto a me. È il codice di condotta che Giorgia Meloni si è imposta anche per le elezioni statunitensi: fuggire dal gioco delle ingerenze, non cercare, al di là dei confini, complici che ti aiutino a combattere il tuo rivale interno, erodendo così la sovranità nazionale. Un modus operandi nel quale la sinistra continua a non riconoscersi. La premier sceglie Washington, e la chiacchierata con i giornalisti al termine del vertice Nato, per spiegare la sua volontà di non entrare nella partita americana. Le chiedono: «Voterebbe per Biden o per Trump?». Da una parte il presidente in carica, col quale ha sempre avuto un buon rapporto, costruito in nome degli interessi comuni e con grande scorno del Pd, che contava sul presidente democratico per isolare il governo italiano. Meloni racconta di averlo «visto bene» nei giorni scorsi, nonostante i tanti dubbi sulla sua lucidità. Dall’altra parte Donald Trump, oggi favorito, alfiere della destra a stelle e strisce e di quel partito repubblicano che è alleato internazionale del partito europeo dei conservatori (Ecr), presieduto dalla stessa Meloni. Una di quelle domande buttate lì per creare un incidente, insomma.

La risposta della premier va oltre la semplice uscita dalla trappola. «Io», ricorda, «sono stata vittima delle ingerenze straniere nei miei affari interni. Quindi non faccio ingerenza negli affari interni degli altri». A maggior ragione nei confronti di un Paese con cui la collaborazione è strettissima: «L’Italia e gli Usa hanno rapporti estremamente solidi e che non sono mai cambiati, nonostante il mutare dei governi». Idem domani: «Chiunque dovesse essere il presidente, noi continueremo a lavorare bene con gli Stati Uniti». Non è solo questione di rispetto, pesa anche l’esperienza. La premier denuncia «le ingerenze di quando in campagna elettorale c’erano leader stranieri che spiegavano che se avessimo vinto noi le elezioni avrebbero vigilato sul nostro stato di diritto». E l’intervento esterno è solo una parte del problema: perché poi, nella sinistra italiana, c’è chi quell’intervento lo sollecita.

 

 

Meloni ricorda «i leader italiani che in campagna elettorale sono andati a trovare leader stranieri per far dire che dovevano essere votati loro dai cittadini italiani. Io penso che decidano gli italiani chi votare in Italia, esattamente come penso che chi debba vincere le elezioni negli Stati Uniti lo decidano i cittadini degli Stati Uniti». Un discorso, quello della complicità con partiti e governi stranieri, valido anche per ciò che sta facendo adesso il Pd. Prima lavora per fare terra bruciata attorno alla premier, mettendo Fdi e i conservatori alla stregua dei partiti in cui vi sono dichiarate simpatie naziste, e poi la accusa di essere isolata e fuori dalla maggioranza europea, dove i socialisti (la famiglia del Pd) hanno posto come condizione, per dare a Ursula von der Leyen il sostegno dei loro 136 eurodeputati, proprio l’esclusione dei conservatori e delle altre forze di «estrema destra» dalla maggioranza. Stefano Bonaccini, neoeletto a Strasburgo, è lo specchio di questo modo di fare: «Preoccupa l’irrilevanza a cui Meloni ha ridotto l’Italia nel confronto sui nuovi assetti della commissione», dice l’ex governatore.

Nonostante lui e gli altri, però, il dialogo tra Meloni e von der Leyen prosegue. La premier non esclude nulla: «Come presidente del consiglio il mio unico obiettivo è portare a casa per l’Italia il massimo risultato possibile». Come presidente di Ecr, invece, spiega che martedì, dopo che von der Leyen avrà incontrato i conservatori, «dialogheremo con le altre delegazioni e decideremo cosa fare». Solo uno dei due ruoli, però, sarà decisivo: «Io sono concentrata soprattutto su quello che all’Italia deve essere riconosciuto in ragione del suo peso». Ossia un commissario Ue con una delega importante e una vicepresidenza, incarico al quale pare destinato Raffaele Fitto. Il capodelegazione di Fdi, Nicola Procaccini, ha ribadito che il giudizio dei 24 eletti meloniani su von der Leyen «al momento è negativo. Non abbiamo nulla contro di lei, ma abbiamo molto contro la piattaforma politica degli ultimi cinque anni». Però le trattative proseguono.

A sinistra lavorano affinché l’Italia ne esca male. I Verdi europei (54 eurodeputati) valutano di votare in favore di von der Leyen, in modo da rendere ininfluente l’apporto degli eletti di Fdi e abbassare il potere contrattuale di Meloni. Perché von der Leyen ha bisogno di aiuto: giovedì 18 luglio l’aula voterà per la sua riconferma, a scrutinio segreto. Ppe, socialisti e Renew Europe (i liberali vicini a Emmanuel Macron), insieme, arrivano a 401 voti: alla presidente uscente ne bastano 361 per fare il bis, ma i franchi tiratori sono sempre molti, il soccorso di altri gruppi le sarà indispensabile.

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