Ue, c'è chi vuole governare senza rispettare il voto
Il modo in cui socialisti, popolari (con qualche sfumatura) e liberali hanno giocato finora la partita dei nuovi assetti di potere europei segnala ancora una volta la persistenza di quello che è il vero vulnus delle istituzioni continentali: il deficit di democrazia. Una vera e propria “emergenza democratica” a cui è legata la sopravvivenza stessa del progetto di integrazione. Ma come, si obietterà? Non è forse vero che la vecchia maggioranza è uscita confermata dalle ultime elezioni, pur essendosi assottigliata di molto la forbice che la separa dalle forze di opposizione? Non è forse cardine della democrazia proprio il principio “una testa, un voto”? In verità, la democrazia è un valore non solo perché conta le teste e non le rompe, come pure si dice, ma perché è il sistema che esalta al sommo grado la politica.
Quando la politica scompare, va in agonia pure la democrazia. I due elementi sono, da un punto di vista ideale, assolutamente inscindibili.
Il Novecento è stato forse il secolo in cui questa frattura fra politica e democrazia è stata più evidente: alla partecipazione dei cittadini si è sostituita la mobilitazione delle masse; così come all’arte del confronto, anche acerbo, fra idee e interessi diversi, che è il proprio della politica, si è sostituito lo scontro “armato” fra opposte ideologie secondo l’implacabile logica amico-nemico. Per quanto possa essere idealizzato, il vero modello della democrazia rimane invece quello della polis ateniese, cioè della deliberazione fatta in comune nell’agorà cittadina attraverso la libera discussione.
ACCORDI DI POTERE - Ora, ritornando al nostro caso, è evidente che la “logica del caminetto” finora adottata dai leader europei non risponde minimamente a questi requisiti: alla politica si è preferito ancora una volta l’accordo di potere, nel chiuso di una stanza. La politica ne è uscita mortificata. Essa avrebbe preteso infatti che si facesse una seria analisi del voto, si interpretasse il sentimento popolare (che si è espresso in scelte ben precise), si cercasse di coinvolgere nella trattativa quelle forze che se ne sono fatte interpreti e quei governi (come l’italiano) che sono stati premiati dagli elettori.
Insomma, che si mediasse alla ricerca di un buon compromesso con i vincitori “morali” delle elezioni. Certo, si può ovviamente pensare che quelle richieste siano errate, “pericolose”, estreme: ognuno ha la sua testa e per fortuna c’è libertà di opinione! Ma, anche se così fosse, la grande politica non si dovrebbe mai porre di petto di fronte alle richieste e alle spinte che vengono dal basso. Dovrebbe anzi farle proprie, temperarle e incanalarle in sentieri che ritiene più praticabili. In questo modo, smorzandole, si evita che esse si radicalizzino ancor più e prima o poi esplodano. Si ritiene che quello rappresentato dall’avanzare della destra sia un virus da combattere? Bene, in politica vige la regola omeopatica: è solo incamerando una quota del “veleno” che si possono sviluppare gli anticorpi giusti per guarire (secondo l’etimo greco del temine “farmaco”, che indica sia il “veleno” sia il “rimedio” alla “malattia”).
La verità è però che, nelle richieste che i cittadini fanno alle leadership europee non c’è nulla di eversivo, né di radicale. Farlo credere è un artificio retorico, cioè una “falsa coscienza” e una “ideologia” per dirla con Marx, che nasconde la paura delle classi dirigenti di dover cominciare condividere con altri il potere e di aprirsi ad una maggiore trasparenza. Il potere europeo, in verità, si è costruito negli anni proprio facendo affidamento su una sorta di consenso sottinteso da parte dei cittadini, i quali semplicemente si disinteressavano di ciò che succedeva a Bruxelles.
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ASTENSIONISMO - Oggi però l’Unione è cresciuta così tanto, anche e soprattutto nel potere esercitato sulle vite di ognuno di noi, che una tale situazione non è più sostenibile. Detto altrimenti, non si può più fare finta di niente, ignorare il demos. Il tanto esecrato astensionismo, che inteso correttamente è una scelta politica come le altre, segnala proprio il disagio dei cittadini che avvertono la lontananza di un potere sempre più autoreferenziale. Essi sentono che il loro voto non conta, che qualcuno a Bruxelles continuerà a decidere nel chiuso di una stanza e senza ascolta re.
Il “pericolo” oggi per l’Europa è proprio questo atteggiamento di chiusura, insensibilità, persino “provocazione”, che viene avvertito dagli europei. Un atteggiamento che persevera e non viene scalfito nemmeno dai tanti segnali che l’opinione pubblica continua a mandare. Insomma, l’emergenza democratica c’è, ma non è quella costituita dai cosiddetti “sovranisti” o “populisti”. A ben vedere, chi è veramente contro l’Europa democratica e liberale è propria la classe politica (e burocratica) che più si è autoproclamata “europeista”.